Page 95 - Nietzsche - Genealogia della morale
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qualcosa di gran lunga troppo severo, qualcosa di troppo forte; essa richiederebbe ciò che non
è lecito pretendere da costoro, e cioè che aprissero gli occhi su se stessi, che sapessero
distinguere, in se stessi, tra «vero» e «falso». A loro si addice solo la bugia disonesta; tutti
coloro che oggi si sentono «uomini buoni» non sono assolutamente in grado di porsi di fronte a
qualsivoglia cosa altrimenti che in una posizione di disonesta-mendacia, di abissale-
mendacia, e tuttavia innocentemente-mendace, schiettamente-mendace, cristallinamente-
mendace, virtuosamente-mendace. Questi «uomini buoni» – sono tutti oggi profondamente
moralizzati e distorti e storpiati in eterno per quel che concerne l’onestà: chi di essi
sopporterebbe ancora una verità a proposito dell’uomo!... Oppure, per rendere più concreta la
domanda: chi di essi sopporterebbe una vera biografia!... Un paio di testimonianze: Lord
Byron aveva preso nota di alcuni fatti personalissimi sul proprio conto, ma Thomas Moore era
«troppo buono» per una cosa simile: bruciò quindi le carte del suo amico. Lo stesso si dice
che abbia fatto il dr. Gwinner, esecutore testamentario di Schopenhauer: poiché anche
Schopenhauer aveva scritto qualcosa su se stesso e forse anche contro se stesso («εἰς
ἑαυτόν»). L’energico americano Thayer, biografo di Beethoven, interruppe improvvisamente il
suo lavoro: arrivato a un certo punto di questa vita semplice e onorevole, non riuscì più a
sopportarla... Morale: quale uomo accorto scriverebbe ancora una parola onesta su se stesso?
– dovrebbe in questo caso appartenere all’ordine della santa temerarietà. Ci viene promessa
un’autobiografia di Richard Wagner: chi dubita del fatto che sarà una biografia accorta?...
Ricordiamo ancora l’orrore cosmico che suscitò in Germania il prete cattolico Janssen con la
sua rappresentazione, grossolana e ingenua oltre ogni immaginazione, del movimento tedesco
della Riforma; che cosa mai accadrebbe, se qualcuno ci raccontasse in modo diverso questo
movimento, se mai un autentico psicologo ci raccontasse un Lutero autentico, senza il candore
morale di un prete di campagna, senza la zuccherosa e riguardosa pudicizia degli storici
protestanti, ma invece col coraggio intrepido di un Taine, attingendo a una forza dell’anima e
non a una accorta indulgenza verso la forza?... (Detto per inciso, i Tedeschi ultimamente hanno
prodotto con buon successo il tipo classico di questa indulgenza – se lo possono già attribuire,
se ne possono attribuire il vanto: nella persona del loro Leopold Ranke, questo classico
advocatus, per nascita, di ogni causa fortior, questo accortissimo tra tutti gli accorti «uomini
positivi»).
20.
Ma già sono stato capito – e non è poi, questa, dopotutto, una ragione bastante perché noi
psicologi oggi non ci si sbarazzi da una certa diffidenza verso noi stessi?... Probabilmente
anche noi siamo ancora «troppo buoni» per il nostro mestiere, probabilmente siamo anche noi
le vittime, la preda, i malati di questo moralizzato gusto del tempo, per quanto ci si possa
sentire suoi spregiatori – probabilmente esso ancora infetta anche noi. Da che cosa metteva in
guardia quel diplomatico, parlando ai suoi simili? «Diffidiamo soprattutto, signori, dalle
nostre prime reazioni! – diceva – Sono quasi sempre buone»... Allo stesso modo oggi ogni
psicologo deve parlare ai suoi simili... E così ritorniamo al nostro problema, che in realtà
esige da noi una certa severità, una certa diffidenza, specie verso le «prime reazioni».
L’ideale ascetico al servizio di un’intenzionale perversione del sentimento – chi ricorda
quanto narrato precedentemente, già anticiperà, nella sostanza, il contenuto, concentrato in