Page 90 - Nietzsche - Genealogia della morale
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valore come dato di fatto, ma solo come un’interpretazione (interpretazione causale) di dati di

      fatto  sino  ad  oggi  non  esattamente  formulabili;  come  qualcosa,  quindi,  che  è  ancora  tutto
      campato in aria e scientificamente non vincolante – in verità una sola parola grassa al posto di
      un punto interrogativo secco – secco come un chiodo. Se uno non riesce a venire a capo di un
      «dolore  dell’anima»,  questo  non  dipende,  per  dirla  in  maniera  brutale,  dalla  sua  «anima»;
      molto più probabilmente invece dalla sua pancia (parlando brutalmente come ho detto: con la
      qual cosa non si esprime certo il desiderio di essere anche ascoltati brutalmente e brutalmente
      capiti...). Un uomo forte e armonico digerisce le sue esperienze (incluse azioni e malefatte),

      come digerisce i suoi pasti, anche se è costretto a inghiottire bocconi amari. Se non riesce «a
      venire a capo» di un’esperienza, questo tipo di indigestione è tanto fisiologica quanto ogni
      altra – e in realtà spesso unicamente una conseguenza di quelle altre. Con simili idee, detto tra
      noi, si può essere ancora e sempre i più rigidi oppositori di ogni materialismo...].

         17.

         Ma  questo  sacerdote  asceta  è  poi  veramente  un  medico?  –  Abbiamo  già  capito  in  che
      misura  sia  appena  concesso  chiamarlo  medico,  per  quanto  egli  stesso  ami  sentirsi  un
      «salvatore», e ami farsi venerare come «salvatore». Egli combatte solo il dolore in se stesso,
      il malessere di chi soffre e non la loro causa, non il vero e proprio essere malato – questo
      deve  costituire  la  nostra  obiezione  di  fondo  contro  la  terapia  sacerdotale.  Se  invece  ci
      poniamo in quella prospettiva che il sacerdote solo possiede e conosce, sarà difficile porre
      dei limiti all’ammirazione per tutto quanto in essa egli ha visto, cercato e trovato. Il lenimento

      del  dolore,  il  «conforto»  d’ogni  tipo  –  ciò  appare  come  il  suo  stesso  genio;  con  quanta
      inventiva ha interpretato il suo compito consolatorio, con quanta mancanza di scrupoli e con
      quanta  audacia  ha  scelto  i  mezzi  adatti!  Si  potrebbe  definire  il  cristianesimo,  in  modo
      particolare, come la grande tesoreria dei più spirituali mezzi di conforto, tanta consolazione,
      pietà, narcotizzazione si accumulano in esso, tanti sono i grandi pericoli e le audacie immense

      osate per questo scopo, tanta è la sottile raffinatezza, raffinatezza meridionale con cui esso, in
      particolar modo, ha intuito con che tipo di stimoli passionali può essere sconfitta, sia pure
      solo temporaneamente, la profonda depressione, la pesante stanchezza, la nera tristezza di chi
      è psicologicamente minorato. Poiché, parlando in generale: in tutte le religioni si è trattato
      soprattutto di combattere una certa stanchezza e pesantezza fattasi epidemica. Preliminarmente
      si può supporre come probabile che in determinate regioni della terra, di tempo in tempo, un
      senso di inibizione fisiologico deve necessariamente impadronirsi di grandi masse, che però,
      per mancanza di conoscenze fisiologiche, non entra in quanto tale nella coscienza, così che la

      sua  «causa»,  il  suo  rimedio,  può  essere  solo  cercato  e  tentato  per  vie  psicologico-  morali
      (infatti  questa  è  la  mia  formula  più  generale  per  ciò  che,  generalmente,  viene  definito
      «religione»).  Un  siffatto  senso  di  inibizione  può  avere  la  più  diversa  origine:  come
      conseguenza  dell’incrocio  di  razze  troppo  dissimili  (o  di  ceti  –  i  ceti  sociali  esprimono
      sempre anche differenze di origine e di razza: il «dolore cosmico» europeo, il «pessimismo»

      del XIX secolo è essenzialmente il risultato di una improvvisa e insensata mescolanza di ceti);
      come  risultato  di  un’emigrazione  sbagliata  –  razza  capitata  in  un  clima  cui  non  ha  forza
      sufficiente per adattarsi (è il caso, questo, degli Indiani in India); oppure come postumo di un
      invecchiamento e di un indebolimento della razza (il pessimismo parigino a partire del 1850);
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