Page 88 - Nietzsche - Genealogia della morale
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dio. Deve difenderlo, il suo gregge – contro chi? Contro i sani non c’è dubbio, e anche contro

      l’invidia  dei  sani;  deve  essere  l’oppositore  naturale  e  spregiatore  di  ogni  salute  rozza,
      tempestosa, sfrenata, dura, violenta e rapace e di ogni potenza. Il sacerdote è la prima forma
      dell’animale più delicato, che disprezza più facilmente di quanto non odi. Non potrà evitare di
      muovere  guerra  agli  animali  rapaci,  una  guerra  di  astuzia,  (dello  «spirito»)  più  che  di
      violenza, come è ovvio – per cui, in qualche caso, sarà costretto a elaborare in sé quasi un
      tipo nuovo di animale da preda, o per lo meno a significarlo – una nuova temibilità animale,
      in cui l’orso polare, il gattopardo gelido e flessuoso in agguato, e non certo meno la volpe,

      sembrano  legati  in  una  unità  tanto  fascinosa  quanto  terribile.  ove  la  necessità  lo  costringa,
      apparirà  tra  le  altre  specie  di  predatori  con  la  gravità  di  un  orso,  dignitoso,  intelligente,
      glaciale,  ingannevolmente  superiore,  come  un  araldo  e  un  portavoce  di  potenze  misteriose,
      risoluto  a  seminare,  dove  potrà,  su  questo  terreno,  dolore,  discordia,  autocontraddizione,
      anche  sin  troppo  sicuro  della  sua  arte  nel  dominare,  in  ogni  momento,  chi  soffre.  Non  c’è
      dubbio  che  egli  reca  con  sé  unguenti  e  balsami;  ma  per  essere  medico  deve  prima

      necessariamente  ferire;  e  mentre  placa  il  dolore  provocato  dalla  ferita,  infetta
      contemporaneamente la ferita stessa – infatti in questo soprattutto è abile, questo incantatore
      e  domatore  di  bestie  feroci,  nella  cui  cerchia  tutto  ciò  che  è  sano  diventa  necessariamente
      malato e tutto ciò che è malato si fa necessariamente mansueto. In realtà difende abbastanza
      bene il suo gregge malato, questo strano pastore – lo difende anche contro se stesso, contro
      quella cattiveria, quella malignità e quella perfidia che covano persino all’interno del gregge e
      contro tutto ciò che è proprio di tutti gli infermicci e i malati; egli si batte con intelligenza,

      durezza  e  segretezza  contro  l’anarchia  e  contro  l’autodissoluzione  sempre  in  procinto  di
      nascere  nel  gregge,  nel  quale  continua  ad  accumularsi  sempre  di  più  quel  pericolosissimo
      materiale  esplosivo  e  dirompente  che  è  il  ressentiment.  Disinnescare  questo  esplosivo,
      evitando che faccia saltare in aria il pastore o il gregge, questo è il suo vero capolavoro e
      anche la sua massima utilità: se si volesse racchiudere in una formula estremamente succinta il

      valore della esistenza sacerdotale, si dovrebbe dire senz’altro: il sacerdote è il modificatore
      di rotta del ressentiment. Tutti coloro che soffrono, infatti, cercano istintivamente una causa
      del  proprio  dolore;  più  precisamente  ancora,  un  autore  o,  per  essere  più  esatti,  un  autore
      responsabile – in breve, un qualsiasi essere vivente, su cui poter scaricare con un pretesto
      qualsiasi  de  factu  o  in  effige  le  proprie  passioni;  poiché  sfogare  le  proprie  passioni  è  il
      massimo  tentativo  di  sollievo,  cioè  di  stordimento  di  chi  soffre,  il  suo  narcotico
      involontariamente  desiderato  contro  le  pene  di  ogni  genere.  Solo  qui,  come  credo,  si  può
      trovare la reale causalità fisiologica del ressentiment, della vendetta e simili, in un desiderio,

      quindi, di assopimento del dolore grazie alla passione – di solito essa viene cercata, molto
      erroneamente,  mi  sembra,  nel  contraccolpo  difensivo,  semplice  misura  precauzionale  della
      reazione, «movimento riflesso» che appare nel caso di lesioni improvvise e di pericoli, simile
      a quelli che compie una rana decapitata, per sottrarsi all’azione di un acido corrosivo. Ma la
      differenza è fondamentale: in un caso, si vogliono evitare danni ulteriori, nell’altro, si tende a

      smorzare un dolore feroce, nascosto, che si fa insopportabile, mercé un’emozione più violenta
      di qualsiasi genere e a escluderlo, momentaneamente, almeno dalla coscienza – per la qual
      cosa è necessaria una passione, una passione il più selvaggia possibile, e, per stimolarla, un
      pretesto qualsiasi. «Qualcuno deve essere responsabile del fatto che io stia male» – questo
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