Page 87 - Nietzsche - Genealogia della morale
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spaccone della morale che oggi ci sia, persino tra i suoi simili, gli antisemiti). Questi sono
tutti uomini del ressentiment, questi esseri fisiologicamente infelici e tarati, tutto un terrestre
reame tremante di vendetta sotterranea, inesauribile, insaziabile nei suoi sfoghi violenti contro
i felici, come nelle mascherate della vendetta, nei pretesti di vendetta: quando arriverebbero
mai al loro ultimo, più raffinato, più sublime trionfo di vendetta? Senz’ombra di dubbio nel
momento in cui riuscissero a far slittare nella coscienza dei felici la loro miseria, anzi tutta la
generale miseria: così che questi cominciassero, un bel giorno, a vergognarsi della loro
felicità e a dirsi l’un l’altro: «che vergogna essere felici! esiste troppa miseria!»... Ma non
potrebbe darsi equivoco più grande e fatale di quello che si avrebbe se mai i felici, i ben
riusciti, i forti di corpo e di anima, cominciassero così a dubitare del loro diritto alla felicità.
Basta con questo «mondo alla rovescia»! Basta con questo vergognoso rammollimento del
sentimento! Che i malati non facciano ammalare i sani – e questo sarebbe un simile
rammollimento –, dovrebbe essere la prospettiva massima sulla terra – ma per ciò e prima di
ogni altra cosa è necessario che i sani restino separati dai malati, protetti addirittura dalla
vista dei malati, che non vengano scambiati con i malati. O sarebbe forse loro compito quello
di fare gli infermieri o i medici?... Ma essi non potrebbero disconoscere e rinnegare il loro
compito in modo peggiore – quello che è superiore non deve degradarsi a strumento di ciò che
è inferiore, il pathos della distanza deve tenere separati, per l’eternità, anche i compiti! Il loro
diritto di esistere, il privilegio della campana dal suono puro su quella stonata, incrinata, è, in
verità, mille volte maggiore: essi solo sono i garanti del futuro, essi soli sono vincolati in
ordine al futuro dell’umanità. Ciò che essi possono, ciò che essi devono, non dovrebbe essere
concesso ai malati: ma affinché essi possano quello che essi soltanto devono, come
potrebbero mai essere liberi di fare i medici, i consolatori, i «salvatori» di chi è malato?... E
quindi aria buona! Aria buona! E teniamoci lontani da tutti i manicomi e i lazzaretti della
cultura! E quindi buona compagnia, compagnia nostra! oppure, se proprio deve essere,
solitudine! Ma alla larga, in ogni modo, dai vapori mefitici della putredine interna e dal
rosicchio nascosto dei malati!... Per poterci difendere ancora almeno un poco, amici, dai due
peggiori flagelli che possono colpire proprio noi – dalla grande nausea per l’uomo! dalla
grande compassione per l’uomo!...
15.
Se si è capito, in tutta la sua profondità – e desidero che proprio qui si vada a fondo, si
capisca profondamente – in che misura non possa essere assolutamente compito dei sani
quello di assistere i malati, di guarire i malati, si sarà capita contemporaneamente, anche
un’altra necessità – quella cioè che medici e infermieri siano essi stessi malati: e a questo
punto terremo ben stretto in tutte e due le mani il significato del prete asceta. Dobbiamo
considerare perciò il sacerdote asceta come il salvatore predestinato, pastore e difensore del
gregge malato: solo così potremo capire la sua enorme missione storica. Il dominio su chi
soffre è il suo regno, a ciò lo spinge il suo istinto, in esso consiste la sua vera arte, la sua
maestria, il modo della sua felicità. deve essere malato lui stesso, deve essere profondamente
affine a chi è malato o sventurato, per comprenderlo – per farsi comprendere da lui; ma deve
essere anche forte, ancora più padrone di sé che di altri, cioè compatto nella sua volontà di
potenza, per poter essere per lui sostegno, resistenza, appoggio, coazione, correttore, tiranno,