Page 83 - Nietzsche - Genealogia della morale
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della terra, della vita, e capaci invece di farsi tutto il male possibile, per il piacere di fare del

      male – probabilmente il loro unico piacere. Consideriamo tuttavia come il sacerdote asceta si
      manifesti regolarmente, universalmente e quasi in ogni epoca; non fa parte di nessuna razza
      particolare;  prospera  dovunque;  nasce  da  ogni  ceto  sociale.  Non  che  abbia  coltivato  e
      trapiantato il suo modulo di valutazione con l’ereditarietà: è vero piuttosto il contrario – un
      profondo istinto gli vieta infatti, globalmente, la riproduzione. Deve essere una necessità di
      prim’ordine quella che fa crescere e prosperare sempre e di nuovo questa specie ostile nella
      vita  –  deve  essere  proprio  un  interesse  della  vita  stessa  a  far  sì  che  un  tipo  simile  di

      autocontraddizione  non  si  estingua.  Perché  una  vita  ascetica  è  una  autocontraddizione:  qui
      domina un ressentiment senza pari, quello di un istinto insaziato e di una volontà di potenza
      che  vorrebbe  dominare,  non  su  qualcosa  della  vita,  ma  sulla  vita  stessa,  sulle  sue  più
      profonde, più forti e più sotterranee condizioni; qui si tenta di usare la forza per ostruire le
      sorgenti della forza; qui lo sguardo si rivolge, bilioso e infido, contro il benessere fisiologico,
      e  in  particolare  contro  la  sua  espressione,  la  bellezza,  la  gioia;  mentre  si  cerca  e  si  gode

      dell’insuccesso,  dell’inaridimento,  del  dolore,  della  sventura,  del  brutto,  del  danneggiarsi
      volontariamente, della rinuncia a se stessi, dell’autoflagellazione, del sacrificio di sé. Tutto
      ciò è paradossale al massimo: qui ci troviamo di fronte a una disarmonia, che vuole se stessa
      disarmonica, che gode di sé in questa sofferenza e diventa sempre più sicura di sé e trionfante
      nella misura in cui diminuisce il suo presupposto, l’attitudine fisiologica alla vita. «Il trionfo,
      proprio  nell’ultima  agonia»:  in  questo  segno  superlativo  ha  combattuto  da  sempre  l’ideale
      ascetico;  in  questo  enigma  di  seduzione,  in  questa  immagine  di  estasi  e  di  dolore  ha

      riconosciuto la sua luce più chiara, la sua salvezza, la sua vittoria finale. Crux nux, lux – in
      esso, una cosa sola.

         12.
         Ammesso che una tale volontà corporale di contraddizione e di contronatura venga convinta

      a filosofare: su che cosa lascerà infuriare il suo più intimo arbitrio? Su quanto viene sentito
      con la massima sicurezza come vero, come reale: cercherà l’errore proprio là dove l’autentico
      istinto  vitale  pone  nel  modo  più  incondizionato  possibile  la  verità.  Come  fecero  gli  asceti
      della filosofia Vedânta ridurrà la corporeità a illusione come anche il dolore, la molteplicità,
      tutta l’antitesi concettuale «soggetto» e «oggetto» – errori, nient’altro che errori! Non prestare
      fede al proprio io, negare a se stessi la propria «realtà» – che trionfo! ormai non più solo sui
      sensi,  sull’apparenza;  una  specie  molto  più  elevata  di  trionfo,  una  violenza  e  una  crudeltà
      volte contro la ragione: voluttà che arriva, come tale, al culmine nel momento in cui l’ascetico

      disprezzo  di  sé,  e  l’autoderisione  della  ragione  decreta:  «Esiste  un  regno  della  verità  e
      dell’essere, ma proprio la ragione ne è esclusa!»... (Detto per inciso: addirittura ancora nel
      concetto  kantiano  di  «carattere  intelligibile  delle  cose»  c’è  qualche  residuo  di  questa
      voluttuosa disarmonia da asceta, che ama rivolgere ragione contro ragione: infatti «carattere
      intelligibile» significa in Kant una specifica modalità delle cose di cui l’intelletto capisce solo

      che essa per l’intelletto è, in tutto e per tutto incomprensibile). – E noi, proprio come uomini
      interessati  alla  conoscenza,  non  dobbiamo,  infine,  mostrarci  ingrati  contro  questi  risoluti
      ribaltamenti  delle  abituali  prospettive  e  valutazioni,  con  cui  troppo  a  lungo  lo  spirito  ha
      infuriato contro se stesso in maniera apparentemente empia e sterile: vedere una volta in modo
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