Page 81 - Nietzsche - Genealogia della morale
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a prezzo di torture fisiche e spirituali: tutto questo punto di vista «oche non solo l’avanzare,
ma il progredire, il movimento e la trasformazione abbiano avuto bisogno dei loro
innumerevoli martiri», l’ho messo in luce in «Aurora», pp. 17 sgg. «Niente è stato pagato più
caro, vi si dice a p. 19, di quel poco di ragione umana e di sentimento di libertà che
costituisce oggi il nostro orgoglio. Ma è questo orgoglio la causa per cui oggi ci è impossibile
avere gli stessi sentimenti di quelle età smisurate della “eticità del costume”, che precedono la
“storia universale”, come reale e decisiva storia di base che ha fissato il carattere
dell’umanità: in cui il soffrire era virtù, la crudeltà virtù, la falsità virtù, la vendetta virtù, la
negazione della ragione virtù; e al contrario il benessere era considerato pericolo, la sete di
sapete pericolo, la pace pericolo, la compassione pericolo, l’essere compassionati un insulto,
il lavoro un insulto, la follia divinità, la mutazione mancanza di eticità e realtà gravida di
rovina!»...
10.
Nello stesso libro, p. 39, si spiega in quale stima, sotto quale pressione di stima dovette
vivere la stirpe più antica di uomini contemplativi – tanto più disprezzata, quanto meno era
temuta! Agli inizi la contemplazione è apparsa sulla terra travestita nella figura, ambigua
nell’aspetto, con un cuore cattivo e spesso con una testa tormentata dall’angoscia: su ciò non
esiste alcun dubbio. Quel che c’è di inattivo, di meditabondo, di non bellicoso negli istinti
degli uomini contemplativi, provocò intorno a loro, per molto tempo, una profonda diffidenza:
contro ciò non esisteva altro rimedio che incutere decisamente paura di sé. E in questo gli
antichi brahmani erano grandi esperti! I più antichi filosofi seppero dare alla loro esistenza e
al loro apparire un senso, una consistenza e uno sfondo, grazie ai quali si imparò a temerli: e a
esaminare la cosa con maggior precisione, ciò derivò da un bisogno ancora più fondamentale,
e cioè per conquistarsi timore e venerazione. Poiché essi trovavano in se stessi tutti i giudizi
di valore rivolti contro di sé, dovevano sconfiggere ogni specie di sospetto e di resistenza
contro «il filosofo in sé». E essi, uomini di un’età terribile, fecero questo con mezzi terribili:
la crudeltà verso se stessi, la fantasiosa mortificazione di sé – fu l’arma fondamentale di
questi eremiti e innovatori del pensiero assetati di potenza, che dovevano necessariamente
fare prima violenza in se stessi agli dei e alla tradizione per poter credere essi stessi alle loro
innovazioni. Ricordo la famosa storia del re Viçvamictra, il quale aveva ricavato da
millenarie martirizzazioni di sé un tale senso di potenza e una tale fiducia da mettersi a
costruire un nuovo cielo: simbolo sinistro della più antica e della più moderna storia dei
filosofi sulla terra – chi abbia costruito mai una volta un «nuovo cielo», ne trovò la forza solo
nel proprio inferno... Per concentrare in formule brevi tutti questi dati di fatto: lo spirito
filosofico ha dovuto sempre, prima di tutto, mascherarsi e travestirsi nei tipi già fissati
dell’uomo contemplativo, da sacerdote, mago, indovino, da uomo religioso in genere, per
essere in qualche modo anche solo possibile: l’ideale ascetico è servito per lungo tempo al
filosofo come forma fenomenica, come premessa esistenziale – il filosofo doveva
rappresentarlo, per poter essere tale, doveva credervi per poterlo rappresentare. La posizione
di isolamento dei filosofi, che tipicamente rinnega il mondo, detesta la vita, non accorda
fiducia ai sensi, anzi ne è priva, e che è stata tenuta ferma sino ai nostri giorni, tanto da
acquistare quasi la validità di un’attitudine filosofica in sé – è prima di tutto una conseguenza