Page 85 - Nietzsche - Genealogia della morale
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potenza  tiene  avvinto  all’esistenza  tutto  il  gregge  di  falliti  di  ogni  genere,  di  scontenti,  di

      bistrattati  dalla  sorte,  di  disadattati,  di  sventurati,  di  quanti  soffrono  di  sé,  precedendoli
      istintivamente  come  un  pastore.  Già  mi  si  capisce:  questo  sacerdote  asceta,  questo  nemico
      apparente della vita, questo negatore, fa parte proprio delle più grandi forze conservatrici e
      creatrici  in  senso  affermativo  della  vita...  Da  che  cosa  dipende  questa  condizione  malata?
      Poiché  l’uomo  è  più  malato,  meno  sicuro,  più  mutevole,  meno  determinato  di  ogni  altro
      animale, su questo non c’è dubbio – è l’animale malato: e da che cosa deriva questo? È certo
      che, più di tutti gli animali presi insieme, l’uomo ha osato, rinnovato, sfidato, provocato il

      destino: l’uomo, questo grande sperimentatore di se stesso, insoddisfatto, insaziato, che lotta
      con  animali,  natura  e  divinità  per  l’ultima  supremazia,  questo  essere  sempre  e  ancora  non
      domato, eternamente futuribile, che non trova più pace di fronte all’impeto della sua stessa
      forza, tanto che il suo futuro gli fruga inesorabilmente nella carne di ogni presente come uno
      sperone – come non dovrebbe essere, un animale così coraggioso e ricco, anche il più esposto
      al pericolo, il più a lungo e più profondamente malato tra tutti gli animali malati?... L’uomo è

      saturo di tutto ciò, abbastanza spesso, si verificano intere epidemie di questa saturazione –
      (come ad esempio intorno al 1348, al tempo della danza macabra): ma anche questa nausea,
      questa  stanchezza,  questo  tedio  di  sé  –  tutto  assume  in  lui  tale  potenza  da  diventare
      immediatamente  un  nuovo  vincolo.  Il  suo  no  detto  alla  vita  porta  alla  luce,  come  per
      incantesimo, una moltitudine di sì più raffinati; anzi, quando si ferisce, questo maestro della
      distruzione, dell’autodistruzione – sarà proprio la ferita stessa a costringerlo a vivere.


         14.
         Quanto  più  la  condizione  malata  nell’uomo  è  normale  –  e  non  possiamo  mettere  in
      discussione la normalità di questo fatto – tanto più si dovrebbero stimare i rari casi di forza
      spirituale e fisica, i casi sfortunati dell’essere umano, tanto più rigidamente si dovrebbero
      proteggere i ben riusciti dall’atmosfera più appestata, da quella dei malati. Ma lo facciamo?...

      I malati sono per i sani il maggior pericolo; la rovina per i forti non viene dai più forti, ma dai
      più deboli. Lo sappiamo?... Parlando in generale, non è assolutamente il timore dell’uomo ciò
      di cui ci si dovrebbe augurare una diminuzione: questo timore costringe infatti i forti a essere
      forti, e a secondo i casi, terribili – esso tiene in piedi il tipo umano ben riuscito. Ciò che si
      deve temere, ciò che agisce più fatalmente di ogni altra fatalità, non sarebbe il grande timore,
      ma la grande nausea di fronte all’uomo; come anche la grande compassione per l’uomo. Posto
      che esse un giorno si accoppiassero, immediatamente e inevitabilmente farebbe il suo ingresso
      nel mondo qualcosa di particolarmente sinistro, l’«ultima volontà» dell’uomo, la sua volontà

      del nulla, il nichilismo. E infatti a tale eventualità molto è preparato. Chi non possiede un naso
      solo  per  fiutare,  ma  possiede  anche  occhi  e  orecchie,  avverte  oggi  quasi  dovunque  per
      avventura si trovi a passare, qualcosa come un’atmosfera di manicomio e di lazzaretto – parlo,
      come è chiaro, delle regioni culturali dell’uomo, di ogni specie d’«Europa» che nel futuro
      sorgerà  sulla  terra.  I  cagionevoli  sono  il  gran  pericolo  dell’uomo:  non  i  cattivi,  non  gli

      «animali da preda». Quelli che sin dall’inizio sono stati colpiti dalla sventura, i prostrati, i
      distrutti – essi i più deboli, sono quelli che più degli altri minano la vita tra gli uomini, che
      avvelenano  e  problematizzano,  nella  maniera  più  pericolosa,  la  nostra  fede,  nella  vita,
      nell’uomo,  in  noi  stessi.  dove  si  potrebbe  mai  sfuggire  a  quello  sguardo  velato  che  lascia
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