Page 84 - Nietzsche - Genealogia della morale
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così  diverso,  voler  vedere  diversamente  è  una  non  piccola  disciplina  e  apprendistato

      dell’intelletto  alla  sua  passata  «obiettività»  –  obiettività  intesa  non  come  «intuizione
      disinteressata» (che in quanto tale è un non-concetto e un controsenso), ma come la capacità di
      avere in pugno, di fare e disfare il proprio pro e contro: così che si impara a utilizzare per la
      conoscenza  proprio  la  diversità  delle  prospettive  e  delle  interpretazioni  affettive.  Signori
      filosofi, d’ora innanzi guardiamoci meglio dal pericoloso, antico favoleggiamento concettuale,
      che ha posto un «soggetto della conoscenza puro, senza volontà, senza dolore, al di fuori del
      tempo»;  guardiamoci  dai  tentacoli  di  tali  concetti  contraddittori  come  «ragion  pura»,

      «spiritualità assoluta», «conoscenza di sé»; – qui si esige sempre di pensare un occhio che non
      può essere pensato, un occhio che non deve avere proprio nessuna direzione, in cui devono
      essere  interrotte,  devono  mancare  le  attive  forze,  interpretanti,  grazie  alle  quali  soltanto  il
      vedere  diventa  un  vedere  qualcosa;  qui  si  esige  dunque  sempre  un  controsenso  e  un  non
      concetto  di  occhio.  Esiste  solo  un  vedere  prospettico,  solo  un  «conoscere»  prospettico;  e
      quanti più affetti facciamo parlare a proposito di una cosa, quanti più occhi, occhi diversi

      sappiamo adoperare in noi per la stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro «concetto» di
      essa, la nostra «obiettività». Ma eliminare in genere la volontà, deporre gli affetti nel loro
      complesso,  ammesso  che  ne  fossimo  capaci:  come?  non  significherebbe  castrare
      l’intelletto?...

         13.
         Ma torniamo indietro. Una tale autocontraddizione, quale quella che sembra rappresentarsi

      nell’asceta, «vita contro vita» – e questa è la cosa più evidente già a prima vista – a una
      verifica fisiologica e non più psicologica, appare come un non senso. Essa può solo essere
      apparente,  deve  essere  una  specie  di  espressione  momentanea,  un’interpretazione,  una
      formula,  una  sistemazione,  un  equivoco  psicologico  su  qualche  cosa  la  cui  vera  natura  per
      lungo tempo non poté essere compresa, per lungo tempo non poté essere designata in sé – una

      parola e niente altro, incuneata nella antica lacuna della conoscenza umana. E per esporre in
      breve il dato di fatto opposto: l’ideale ascetico nasce dall’istinto di difesa e di salvezza di una
      vita  in  degenerazione,  che  cerca  di  affermarsi  con  tutti  i  mezzi  e  che  lotta  per  la  propria
      esistenza;  esso  segnala  una  inibizione  fisiologica  e  un  affaticamento,  contro  cui  si  battono
      senza tregua e con mezzi e invenzioni nuove gli istinti più profondi e ancora intatti della vita.
      L’ideale ascetico è uno di questi mezzi: è dunque proprio il contrario di quanto pensano gli
      adoratori di questo ideale – la vita lotta in esso e per suo tramite con la morte e contro  la
      morte, l’ideale ascetico è un artificio nella conservazione della vita. Che questo poi potesse

      dominare  e  impadronirsi  degli  uomini  tanto  quanto  la  storia  ci  insegna,  e  proprio  dove  si
      affermò la civilizzazione e l’addomesticamento dell’uomo, costituisce l’espressione di un gran
      dato di fatto: la condizione malata del tipo umano fino ad oggi, per lo meno del tipo umano
      ormai domato, la lotta fisiologica dell’uomo con la morte (più precisamente: con il tedio della
      vita,  con  l’affaticamento,  col  desiderio  della  «fine»).  Il  sacerdote  asceta  è  il  desiderio

      incarnato di essere-altro, di essere-altrove, e in realtà il più alto grado di questo desiderio, il
      suo ardore tipico e la sua passione: ma proprio la potenza del suo desiderare è la catena che
      lo incatena qui; proprio in questo modo egli diviene strumento obbligato a lavorare per la
      creazione di condizioni più favorevoli per l’essere qui e l’essere-uomo – proprio con questa
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