Page 80 - Nietzsche - Genealogia della morale
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filosofia, agli inizi, è capitato quello che capita a tutte le cose buone – per lungo tempo non

      ebbero  il  coraggio  di  essere  se  stesse,  si  guardavano  sempre  intorno,  ove  mai  qualcuno
      volesse venire in loro soccorso, e avevano addirittura paura di tutti quelli che le stavano a
      guardare.  Enumeriamo  con  ordine  i  singoli  impulsi  e  le  singole  virtù  del  filosofo  –  la  sua
      spinta  al  dubbio,  il  suo  impulso  alla  negazione,  all’attesa  (impulso  «efectico»),  l’impulso
      analitico, di ricerca, di indagine, l’impulso a osare, a confrontare, a equilibrare, la sua volontà
      di neutralità e di oggettività, la sua volontà di ogni «sine ira et studio» –: non abbiamo forse
      già capito che tutti questi impulsi e queste virtù prese insieme hanno sfidato, per lunghissimo

      tempo, le esigenze prime della morale e della coscienza? (per non parlare della ragione  in
      generale che ancora Lutero amava chiamare «Donna Saggezza la meretrice saggia»). Che un
      filosofo, nel caso fosse arrivato sino alla coscienza avrebbe dovuto sentirsi proprio come il
      «nitimur in vetitum» in carne e ossa – e che quindi si guardava bene dal «sentire se stesso»,
      dall’arrivare alla coscienza?... Come si è detto, lo stesso accade per le cose buone, di cui oggi
      siamo  orgogliosi;  anche  se  misurato  al  metro  degli  antichi  Greci,  tutto  il  nostro  essere

      moderno, nella misura in cui non è debolezza, potenza e coscienza della potenza, non sembra
      altro che hybris e empietà: poiché proprio le cose opposta a quelle che oggi noi onoriamo,
      hanno avuto dalla loro parte, per lunghissimo tempo, la coscienza e dio a loro salvaguardia.
      Tutta la nostra posizione di fronte alla natura è hybris, la violenza che usiamo alla natura con
      l’ausilio delle macchine e del genio inventivo, così sconsiderato, degli ingegneri e dei tecnici;
      hybris  è  la  nostra  posizione  verso  Dio,  voglio  dire,  verso  qualsiasi  regno  etico-finalistico
      nascosto  dietro  la  grande  trama  a  traliccio  della  causalità,  –  potremo  dire,  come  Carlo  il

      Temerario,  nella  battaglia  contro  Luigi  xi,  «je  combats  l’universelle  araignée»;  hybris  è  la
      nostra  posizione  verso  noi  stessi;  poiché  su  noi  stessi  tentiamo  esperimenti  che  non  ci
      permetteremmo  mai  su  nessun  altro  animale,  e  ci  sezioniamo  contenti  e  curiosi  l’anima
      incidendo nella viva carne: che cosa ci importa mai la «salute» dell’anima! Poi ci guariremo
      da  soli:  essere  malati  è  istruttivo,  e  senza  dubbio  più  istruttivo  che  essere  sani  –  oggi  gli

      agenti morbosi ci sembrano anche più necessari di un qualsiasi sciamano e «salvatore». Oggi
      noi ci usiamo violenza, noi schiaccianoci dell’anima, noi inquirenti e inquisiti, come se la vita
      non  fosse  altro  che  schiacciare  noci;  proprio  con  ciò,  giorno  dopo  giorno,  dobbiamo
      necessariamente farci sempre più problematizzabili e più degni di porre problemi; e proprio
      per  ciò,  forse  anche  più  degni  di  vivere?...  Tutte  le  cose  buone  sono  state  un  tempo  cose
      cattive;  ogni  peccato  d’origine  si  è  trasformato  in  una  virtù  originaria.  Ad  esempio,  il
      matrimonio  parve  a  lungo  un  affronto  al  diritto  della  comunità;  una  volta  si  pagava
      un’ammenda per essere così poco modesti da prendere una donna tutta per sé (è il caso dello

      jus  primae  noctis,  ancora  al  giorno  d’oggi  in  Cambogia  privilegio  dei  sacerdoti,  questi
      custodi  dei  «buoni  e  antichi  costumi»).  I  sentimenti  miti,  benevoli,  indulgenti  e
      compassionevoli – il cui valore crebbe tanto da farne, alla fine, quasi «i valori in sé», per
      lunghissimo tempo ebbero contro proprio il disprezzo di sé: ci si vergognava della bontà come
      oggi della durezza; (cfr. «Al di là del bene e del male»; p. 232). La sottomissione al diritto:

      oh, con quanti mai contrasti di coscienza le stirpi aristocratiche, dovunque sulla terra, hanno
      rinunziato da parte loro alla vendetta e concesso al diritto potere su di esse! Il «diritto» è stato
      a lungo un vetitum, un crimine, un’innovazione, apparve con violenza, come violenza cui ci si
      adattò solo vergognandosi davanti a se stessi. ogni minimo passo sulla terra è stato conquistato
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