Page 82 - Nietzsche - Genealogia della morale
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dello stato di precarietà delle condizioni in cui la filosofia in generale è nata e si è affermata:
nella misura in cui, infatti, la filosofia per un tempo lunghissimo non sarebbe stata
assolutamente possibile senza un involucro e un rivestimento ascetico, senza un ascetico
fraintendimento di sé. Per esprimersi in maniera più chiara ed evidente: il sacerdote ascetico
è stato sino ad oggi la forma larvale più disgustosa e oscura, l’unica su cui alla filosofia fosse
concesso di vivere e di muoversi strisciando... La situazione è realmente cambiata? L’alato
insetto variopinto e pericoloso, quello «spirito» che questa larva nascondeva in sé, ha
veramente finito per abbandonare il suo bozzolo e è stato portato alla luce grazie a un mondo
più assolato, più caldo, più chiaro? Esiste oggi già tanto orgoglio, tanto coraggio, audacia,
certezza di sé, volontà dello spirito, volontà di responsabilità, libertà del volere, perché sulla
terra «il filosofo» sia realmente – possibile?...
11.
Solo ora, dopo aver osservato il sacerdote ascetico, affrontiamo seriamente il nostro
problema: che significa l’ideale ascetico? – solo adesso esso diventa «serio»; ci troviamo
infatti di fronte proprio all’autentico rappresentante della serietà. «Che cosa significa ogni
serietà?» – forse abbiamo già sulle labbra questa domanda ancora più fondamentale: una
domanda per i filologi, come è ovvio, davanti alla quale però, momentaneamente, passiamo
oltre. Il sacerdote asceta ha in quell’ideale non solo la sua fede, ma anche la sua volontà, la
sua potenza, il suo interesse. In quell’ideale si fonda e si sfalda il suo diritto all’esistenza:
nessuna meraviglia, quindi, se qui ci troviamo di fronte un avversario terribile, ammesso che
noi fossimo gli avversari di quell’ideale? Un avversario che lotta per la sua esistenza contro i
negatori di quell’ideale?... D’altra parte, non è certo verosimile, a prima vista, che una presa
di posizione così interessata al nostro problema possa essergli particolarmente vantaggiosa; è
difficile che il prete asceta si faccia anche solo felicissimo difensore del suo ideale, per lo
stesso motivo per cui una donna va incontro, di solito, a un insuccesso, quando si mette a
difendere la «donna in sé» – e ancora meno potrà essere osservatore e giudice obiettivo al
massimo della controversia qui sollevata. Lo dovremo invece aiutare – cosa questa che è già
più evidente – a difendersi bene contro di noi, piuttosto che temere di venirne confutati troppo
bene... Il pensiero, intorno cui qui si dibatte, è la valutazione della nostra vita da parte dei
preti asceti: questa (con tutto quello che la concerne, «natura», «mondo», tutta la sfera del
divenire e della caducità) viene da essi collegata a una esistenza completamente diversa, nei
cui confronti essa si comporta in modo contrastante e esclusivo, a meno che essa non si
rivolga contro se stessa, rinneghi se stessa: in questo caso, nel caso di una vita ascetica, la
vita serve da ponte verso l’altra esistenza. L’asceta tratta la vita come una strada sbagliata che
si dovrà ripercorrere, a ritroso, fino al suo inizio, o come errore, che si confuta – si dovrà
confutare tramite l’azione: poiché questi esige che si vada con lui, e impone, dove può, la
propria valutazione dell’esistenza. Che significa questo? Un criterio di valutazione tanto
mostruoso non sta scritto nella storia dell’uomo come fatto eccezionale e come curiosità: è una
delle realtà di fatto più ampie e più durature che siano mai esistite. Letta da un pianeta
lontano, la scrittura maiuscola della nostra esistenza terrestre potrebbe forse indurre alla
conclusione errata che la terra sia il pianeta ascetico per eccellenza un nascondiglio per
creature scontente, presuntuose e disgustose, incapaci di liberarsi da una profonda noia di sé,