Page 77 - Nietzsche - Genealogia della morale
P. 77
alla potenza, all’azione, a un fare più potente e, nella maggioranza dei casi, proprio la sua via
all’infelicità). Alla stessa maniera il filosofo aborre del matrimonio, come da tutto quello che
potrebbe persuadervelo – il matrimonio come ostacolo e sventura sul suo cammino verso
l’optimum. Quale grande filosofo è stato sposato? Eraclito, Platone, Cartesio, Spinoza,
Leibniz, Kant, Schopenhauer non lo furono, anzi, non li possiamo nemmeno pensare sposati.
Un filosofo sposato è un personaggio da commedia, questa è la mia teoria: e quell’eccezione
di Socrate – il maligno Socrate sembra si sia sposato solo ironice, solo per dimostrare questa
teoria. ogni filosofo parlerebbe come parlò Buddha una volta; quando gli venne annunziata la
nascita di un figlio: «Mi è nato Râhula, una catena mi è stata forgiata» (Râhula sta qui per
«piccolo demone»); ogni «spirito libero» dovrebbe avere un’ora di ripensamento, posto che
ne abbia avuta prima una di spensieratezza, come capitò allo stesso Buddha – «oppressa e
angustiata – pensava tra sé – è la vita nella casa luogo di impurità; libertà è abbandonare la
casa»: «e così pensando, abbandonò la casa». Nell’ideale ascetico vengono indicati tanti ponti
verso l’indipendenza, che un filosofo non può ascoltare senza gioirne nell’intimo e senza
applaudire le storie di tutti quegli uomini decisi, i quali un giorno dissero no a ogni mancanza
di libertà per andarsene in un deserto qualsiasi; anche ammettendo che fossero solo
grandissimi asini o addirittura tutt’altro che spiriti forti. Che significa, a questo punto, l’ideale
ascetico in un filosofo? La mia risposta, lo si sarà indovinato da un pezzo, è la seguente: alla
sua vista il filosofo sorride come a un optimum della condizione di suprema e audacissima
spiritualità – e con ciò non nega «l’esistenza», anzi afferma in essa la sua esistenza e solo la
sua esistenza, e ciò forse fino al punto da arrivare quasi a concepire l’empio desiderio: pereat
mundus, fiat philosophia, fiat philosophus, fiam!...
8.
È chiaro, non sono testimoni e giudici incorruttibili del valore dell’ideale ascetico, questi
filosofi! Essi pensano a sé, che importa loro «il sacro»! Anzi essi pensano a ciò che per loro è
la cosa più indispensabile: libertà da costrizioni, turbamenti, fracasso, da affari, doveri,
preoccupazioni; chiarezza in testa; danza, salti e volo dei pensieri; un’aria buona, limpida,
chiara, libera, asciutta come quella delle alte cime, che rende ogni essere animale più
spirituale e gli dà le ali; pace in ogni sotterraneo; tutti i cani ordinatamente alla catena, niente
latrati di inimicizia e di villoso rancore; nessun tarlo di ambizione ferita; interiora umili e
sottomesse, diligenti come macine di mulino, ma distanti, il cuore estraneo, al di là, nel futuro,
postumo, – in fondo, nell’ideale ascetico, essi pensano al sereno ascetismo di un animale
divinizzato e capace ormai di volare, che passa al di sopra della vita, più che posarvisi. Si sa
quali siano le tre sontuose parole d’ordine dell’ideale ascetico: povertà, umiltà, castità: e si
osservi da vicino la vita di tutti gli spiriti grandi, fecondi e geniali – vi si ritroveranno tutte e
tre sempre fino a un certo punto. E, ovviamente – mai come se fossero le loro «virtù» – che
cosa ha a che fare questa specie di uomini con le virtù! – bensì come le condizioni più tipiche
e naturali della loro esistenza migliore, della loro più bella fecondità. E qui è ben possibile
che la loro spiritualità dominante dovesse prima imbrigliare o un orgoglio sfrenato e
suscettibile o una sensualità petulante, o che riuscisse a sostenere a malapena la loro volontà
di «deserto» forse contro una tendenza al lusso e alla ricercatezza, e al tempo stesso contro
una certa dissipatrice liberalità del cuore e della mano. Ma quella spiritualità ci riuscì,