Page 72 - Nietzsche - Genealogia della morale
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sempre molti denigratori della sensualità; e forse il maggior merito di Lutero sta proprio in

      questa più che in altre cose, nell’aver avuto cioè il coraggio della propria sensualità (allora
      si chiamava, con notevole delicatezza, «libertà evangelica»...). Ma anche nel caso in cui esista
      realmente un contrasto tra castità e sensualità, non c’è assolutamente bisogno, fortunatamente,
      che sia un contrasto tragico. Ciò dovrebbe essere valido per lo meno per quelli dei mortali
      che sono più armonici nel fisico e nell’anima, e sono molto lontani dal considerare senz’altro
      tra i motivi d’opposizione alla esistenza il loro labile equilibrio tra «bestia e angelo» – i più
      acuti e i più chiari, come Goethe, come Hafis, hanno visto in questo addirittura un fascino in

      più della vita. Proprio queste «contraddizioni» sono una seduzione a esistere... D’altra parte è
      ovvio che se mai i poveri porci saranno portati ad adorare la castità – e porci simili esistono!
      – vedranno e adoreranno in essa solo il loro contrario, il contrario del povero porco – oh, con
      che  tragico  grugnire  e  con  che  zelo,  è  facile  immaginarlo!  –  quell’opposto  sgradevole  e
      superfluo che Richard Wagner alla fine della sua vita ha innegabilmente ancora voluto mettere
      in musica e portare sulla scena – Ma con quale scopo? ci si potrebbe giustamente chiedere.

      Che cosa gli importavano e che cosa importano a noi i porci?...

         3.
         E qui non è possibile non rispondere a quell’altra domanda, e cioè che cosa gli importava,
      in realtà – quella virile (oh, così poco virile) «semplicità campagnola», quel povero diavolo,
      quel  garzoncello  tutto  natura  che  è  Parsifal,  che  con  mezzi  così  insidiosi  viene  alla  fine
      cattolicizzato? – Come? questo Parsifal è stato veramente preso sul serio? Infatti si sarebbe

      tentati  di  supporre  il  contrario,  anzi  di  augurarci  –  che  il  Parsifal  di  Wagner  sia  un
      divertimento, quasi come epilogo e dramma satiresco con cui il Wagner tragico avrebbe voluto
      prendere  congedo  da  noi  e  anche  da  se  stesso,  ma  soprattutto  dalla  tragedia,  in  maniera
      dovuta  e  degna  di  lui,  cioè  con  un  eccesso  di  sublime  e  di  intenzionalissima  parodia  del
      tragico, di tutta la terribile serietà e di tutta la desolazione sempre esistite sulla terra, della

      ormai superata più tozza forma antinatura dell’ideale ascetico. Questo sarebbe stato, come ho
      detto, veramente degno di un grande tragico: che, come ogni artista, arriva al culmine estremo
      della sua grandezza solo quando vede se stesso e la sua arte sotto di sé – quando sa ridere di
      sé –. È il «Parsifal» di Wagner il suo segreto sorriso di superiorità su se stesso, il trionfo della
      sua  conquistata,  estrema,  sublime  libertà  e  trascendenza  d’artista?  Vorremmo  augurarcelo,
      come già detto: perché che cosa sarebbe il Parsifal inteso seriamente? È, proprio necessario
      vedere  in  esso  (come  hanno  detto  in  contrasto  con  me)  «il  frutto  di  un  odio  folle  contro
      conoscenza, spirito e sensualità»? Una maledizione lanciata, in un solo rantolo d’odio, contro

      i  sensi  e  lo  spirito?  Un’apostasia  e  un  ritorno  agli  ideali  morbosi  e  oscurantistici  del
      cristianesimo?  E  infine  anche  una  negazione  di  sé,  un  cancellare  se  stesso  ad  opera  di  un
      artista che fino a quel momento aveva cercato con tutte le forze della sua volontà proprio il
      contrario, e cioè la spiritualizzazione e la sensualizzazione più alta della sua arte? E non solo
      della sua arte: anche della sua vita. Si ricordi con quanto entusiasmo, a suo tempo, Wagner

      abbia  seguito  le  orme  del  filosofo  Feuerbach:  quello  che  Feuerbach  diceva  della  «sana
      sensualità»  per  il  Wagner  degli  anni  trenta  e  quaranta,  come  per  molti  tedeschi  (si
      autodefinivano giovani tedeschi) risuonava come una parola di salvazione. È possibile che
      alla fine Wagner abbia imparato cose diverse in proposito? Per lo meno così appare, dato che
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