Page 67 - Nietzsche - Genealogia della morale
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decadenza della coscienza di colpa dell’uomo; anzi non si può rifiutare la prospettiva che il
totale e definitivo trionfo dell’ateismo potrebbe liberare l’umanità da tutto questo sentimento
di avere dei debiti verso il proprio cominciamento, la propria causa prima. Ateismo e una
specie di seconda innocenza sono intimamente legati.
21.
Questo è per ora quanto ho da dire, provvisoriamente, in generale e in breve sui legami tra i
concetti di «colpa», di «dovere» e i loro presupposti religiosi: intenzionalmente ho tralasciato
fin qui la vera e propria moralizzazione di questi concetti (lo slittamento degli stessi nella
coscienza o, ancora più precisamente, l’intrecciarsi della cattiva coscienza col concetto di
dio) e alla fine del capitolo precedente ho parlato perfino come se questa moralizzazione non
esistesse, e di conseguenza come se questi concetti fossero oggi, necessariamente, prossimi
alla fine, essendo venuto a mancare il loro presupposto, la fede nel nostro «creditore», Dio. Il
dato di fatto è invece temibilmente diverso. La moralizzazione dei concetti di colpa e di
dovere, con il loro slittamento a ritroso nella cattiva coscienza, è realmente il tentativo di
rovesciare la direttiva di marcia del processo evolutivo ora descritto o per lo meno di
bloccarne il movimento; ora si deve escludere pessimisticamente una volta per tutte proprio la
prospettiva di un riscatto definitivo, ora lo sguardo deve ritrarsi tristemente e ribaltare davanti
a una ferrea impossibilità; ora quei concetti di «colpa» e di «dovere» debbono volgersi
all’indietro – ma contro chi? Non possiamo avere dubbi: prima di tutto contro il «debitore», in
cui ormai la cattiva coscienza si è tanto consolidata, ha operato una tale corrosione, si è tanto
espansa, è tanto cresciuta in ogni direzione simile a un polipo, che insieme alla inestinguibilità
della colpa si concepisce infine anche l’inestinguibilità della penitenza, il pensiero
dell’impossibilità di un risarcimento (la pena «eterna») –; e alla fine anche contro il
«creditore», sia che si pensi alla causa prima dell’uomo, all’inizio del genere umano, al suo
progenitore, colpito ormai da una maledizione («Adamo», «peccato originale», «non libertà
del volere»), o alla natura dal cui grembo nasce il mondo e in cui ormai è stato introdotto il
principio del male («demonizzazione della natura»), o all’esistenza in genere che resta come
non valida in sé, (distacco nichilistico da essa, desiderio del nulla o desiderio del suo
«contrario», di un essere-altro, buddhismo e cose affini) – finché all’improvviso ci troviamo
di fronte al paradossale e terribile espediente in cui l’umanità martoriata ha trovato un
momentaneo sollievo, quel colpo di genio del cristianesimo: dio stesso che si sacrifica per la
colpa dell’uomo, Dio stesso che si risarcisce su se stesso. Dio come l’unico che possa
riscattare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso non è più riscattabile – il ceditore che si
sacrifica per il suo debitore, per amore (dobbiamo crederci? –), per amore del suo debitore!
…
22.
Si sarà già indovinato che cosa è realmente accaduto di tutto questo e al di sotto di tutto
questo: quella volontà di autotorturarsi, quella crudeltà regressa dell’animale uomo
interiorizzato e respinto in se stesso, di colui il quale è stato incarcerato nello «Stato» per
essere domato, che ha inventato la cattiva coscienza, per farsi del male, essendo stato bloccato
lo sbocco più naturale di questo voler-fare del male – quest’uomo della cattiva coscienza si è