Page 65 - Nietzsche - Genealogia della morale
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gli altri uomini. Questa nascosta violenza contro se stessi, questa crudeltà da artisti, questo

      piacere di imprimere una forma a se stessi come a una materia pesante, restia, sofferente, di
      marchiare a fuoco una volontà, una critica, una contraddizione, un disprezzo, un no, questa
      fatica sinistra e terribilmente piena di piacere di un’anima volontariamente divisa in se stessa,
      che si procura dolore per il piacere di dare dolore, tutta questa «cattiva coscienza» attiva, in
      fine  –  lo  si  indovina  già  –,  come  un  autentico  grembo  materno  di  avvenimenti  ideali  e
      immaginari, ha partorito anche una quantità di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni, e
      forse,  per  la  prima  volta,  soprattutto  la  bellezza…  Infatti  che  cosa  sarebbe  «bello»,  se  la

      contraddizione non fosse divenuta prima cosciente a se stessa, se prima il brutto non avesse
      detto  a  se  stesso:  «Io  sono  brutto»…  Per  lo  meno,  dopo  questa  indicazione,  l’enigma  sarà
      meno enigmatico: in che misura, cioè, concetti contraddittori come altruismo,  abnegazione,
      autosacrificio possono esprimere un ideale, una bellezza; e una cosa sarà chiara d’ora in poi
      – non ne dubito – e cioè la natura del piacere che prova l’altruista, chi nega e sacrifica se
      stesso:  questo  piacere  è  crudeltà.  –  Tanto  dovevo  dire,  per  ora,  sull’origine  del  «non

      egoistico» come valore morale e per la delimitazione del terreno da cui è nato questo valore:
      solo la cattiva coscienza, solo la volontà di maltrattare se stessi costituisce il presupposto per
      il valore del non egoistico.

         19.
         Non esistono dubbi sul fatto che la cattiva coscienza sia una malattia, ma una malattia quale
      potrebbe essere la gravidanza. Se andiamo alla ricerca delle condizioni in cui questa malattia

      è arrivata al suo culmine più atroce e sublime – vedremo che cosa con ciò ha fatto per la
      prima volta il suo ingresso nel mondo. Ma per questo occorre largo respiro – e, prima di ogni
      cosa, dobbiamo tornare ancora una volta a un punto di vista precedente. Il rapporto di diritto
      privato tra debitore e creditore, di cui si è già parlato e a lungo, è stato interpretato ancora una
      volta e per la verità in un modo assolutamente non usuale e meritevole di riflessione dal punto

      di vista storico, nell’ambito di un rapporto in cui per noi moderni esso è forse assolutamente
      incomprensibile:  cioè  nel  rapporto  che  esiste  tra  i  contemporanei  e  i  loro  antenati.
      All’interno  della  primitiva  comunità  di  stirpi  –  parliamo  di  epoche  primordiali  –  la
      generazione vivente riconosce ogni volta un obbligo giuridico verso la generazione più antica
      che aveva fondato la stirpe (e in nessun modo un legame sentimentale: non senza ragione si
      potrebbe negare addirittura questo legame per il più lungo periodo della specie umana). Qui
      prevale la convinzione che la specie sussista solo in virtù dei sacrifici e dell’attività degli
      antenati e che essi ne debbono essere ripagati con altri sacrifici e attività: quindi si riconosce

      un debito che continua ad aumentare per il fatto che questi antenati, sopravvissuti come spiriti
      potenti, non cessano di assicurare alla specie nuovi vantaggi e nuovi contributi derivati dalla
      loro forza. Forse gratuitamente? Ma non esiste niente di «gratuito» per quelle epoche rozze e
      «povere  nello  spirito».  Con  che  cosa  si  possono  ripagare?  Sacrifici  (agli  inizi  per  il
      nutrimento, inteso grossolanamente), feste, cappelle votive, testimonianze di omaggio, prima

      di tutto obbedienza – poiché tutti gli usi, in quanto prodotto degli avi, sono anche regole e
      ordini che da loro provengono – : si dà mai abbastanza agli avi? Il sospetto rimane e aumenta:
      di  tempo  in  tempo  esso  costringe  a  un  grande  riscatto  cumulativo,  un  qualche  mostruoso
      risarcimento  al  «creditore»  (il  famigerato  sacrificio  del  primogenito,  per  esempio,  sangue,
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