Page 66 - Nietzsche - Genealogia della morale
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sangue umano in ogni caso). Il timore dell’antenato e della sua potenza, la coscienza dei debiti
che si hanno verso di lui, secondo questo tipo di logica, cresce nella misura esatta in cui la
forza della stirpe stessa aumenta, via via che la stirpe si fa sempre più vittoriosa, più
indipendente, più onorata e più temuta. Non certo il contrario! Ogni passo verso il
deterioramento della stirpe, tutte le possibili miserie, tutti i tratti di degenerazione, di
incombente dissolvimento diminuiscono invece sempre anche il timore di fronte allo spirito
del proprio fondatore e danno una immagine sempre più ridotta della sua avvedutezza, della
sua previdenza e della attualità della sua forza. Se immaginiamo questo rozzo tipo di logica
spinto sino all’estremo, gli antenati delle stirpi più potenti dovranno finire per trasformarsi,
grazie alla fantasia del timore in aumento, in qualcosa di mostruoso, ed essere infine respinti
nel buio di una tetra e inimmaginabile divinità – l’antenato finisce, necessariamente, per
trasfigurarsi in un dio. Forse questa è anche l’origine degli dei, dunque un’origine derivata dal
timore!… E qualcuno ritenesse necessario dover aggiungere: «derivata però dalla pietas!»
difficilmente potrebbe avere ragione per tutta la più lunga età del genere umano, l’età
primordiale. E tanto più poi per l’età di mezzo, in cui si formano le stirpi aristocratiche – che
hanno in realtà ripagato con gli interessi ai loro antenati, ai loro avi, (eroi, dei), tutte le qualità
che, nel frattempo, si erano manifestate in esse, le qualità aristocratiche. Più tardi daremo
ancora uno sguardo al processo di nobilitazione e di affinamento degli dei (che non è certo la
loro «consacrazione»): concludiamo per ora, provvisoriamente, il corso di tutta questa
evoluzione della coscienza di colpa.
20.
La coscienza di avere dei debiti verso gli dei, come insegna la storia, non si è affatto spenta
nemmeno dopo il tramonto della forma organizzativa «comunitaria» fondata sulla affinità di
sangue: l’umanità, allo stesso modo con cui ha ereditato i concetti di «buono e cattivo» dalla
nobiltà della stirpe, (con la sua fondamentale inclinazione psicologica a fissare ordinamenti
gerarchici), ha ricevuto, con l’eredità delle divinità della stirpe e della tribù, anche quella del
carico dei debiti non ancora saldati e del desiderio di liberarsene. (Il momento di trapasso è
segnato da quelle estese popolazioni di schiavi e di servi che si sono adattati al culto degli dèi
dei propri padroni, vuoi con la forza, vuoi per sottomissione e mimicry: a partire da loro
questa eredità si spande per ogni dove). Il sentimento di un debito verso la divinità ha
continuato ad aumentare nel corso di molti millenni e, per la verità, sempre nella stessa misura
con cui crescevano e venivano elevati, sulla terra, il concetto di dio e il senso della divinità.
(Tutta la storia delle lotte, delle vittorie, delle riconciliazioni, delle mescolanze etniche, tutto
quello, che precede il definitivo ordinamento gerarchico di tutti gli elementi popolari in ogni
grossa sintesi razziale, si rispecchia nelle ingarbugliate genealogie dei loro dei, nelle saghe
delle loro lotte, delle loro vittorie e conciliazioni; il progresso verso regni universali è
sempre anche il progresso in direzione di divinità universali, il dispotismo, con la sua
sopraffazione dell’aristocrazia indipendente, spiana sempre la strada a un qualche
monoteismo). La nascita del Dio cristiano, come massima divinità cui si sia giunti fino ad
oggi, ha portato sulla terra anche il maximum del sentimento di debito. Ammesso di essere
entrati, più tardi, in un movimento opposto, si potrebbe, con molta probabilità dedurre dalla
inarrestabile decadenza della fede nel Dio cristiano il fatto che già ora esista una notevole