Page 64 - Nietzsche - Genealogia della morale
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Uno dei presupposti di questa ipotesi sull’origine della cattiva coscienza è, prima di tutto,

      il fatto che quella mutazione non è stata né graduale, né volontaria e non ha rappresentato una
      crescita  organica  in  condizioni  nuove,  ma  una  frattura,  un  salto,  una  coazione,  un  destino
      inevitabile,  contro  cui  non  era  possibile  né  lotta,  né  tanto  meno  ressentiment.  In  secondo
      luogo, poi, il fatto che l’immissione di una popolazione, sino allora disinibita e informe, in una
      forma stabile, come aveva avuto inizio con un atto di violenza, così fu portata a compimento
      solo  con  atti  di  violenza  –  che,  di  conseguenza,  lo  «Stato»  più  antico  apparve  come  una
      tirannia terribile, come un meccanismo stritolatore e privo di scrupoli, e proseguì su questa

      via, fino a quando questa materia grezza di popolo e di semianimalità non venne finalmente
      bene amalgamata e resa duttile, e altresì dotata di forma. Ho usato la parola «Stato»: è chiaro
      a  quale  mi  riferisco:  –  un  branco  qualsiasi  di  biondi  animali  da  preda,  una  razza  di
      conquistatori e di padroni, che organizzata militarmente e con la forza di organizzare, abbatte
      senza  riguardo  le  sue  orribili  zampe  su  una  popolazione  forse  enormemente  superiore  per
      numero, ma ancora priva di forma, ancora nomade. Così ha inizio in terra lo «Stato»: credo

      che  sia  eliminato  il  sogno  illusorio  che  lo  faceva  cominciare  con  un  «contratto».  Chi  può
      comandare, chi è naturalmente «padrone», chi incede tirannico nelle azioni e nei gesti – non ha
      certo bisogno di contratti! Con esseri simili è impossibile fare calcoli, essi arrivano come il
      destino,  senza  motivo,  senza  ragione,  senza  riguardo,  senza  pretesti,  compaiono  come  il
      fulmine, troppo orribili, troppo convincenti, troppo «diversi» per essere anche soltanto odiati.
      La loro opera è una creazione di forme istintiva, un conio di forme, essi sono gli artisti più
      involontari  e  inconsapevoli  che  esistano  –  insomma,  dove  essi  appaiono  c’è  qualcosa  di

      nuovo, un prodotto di dominio che vive, in cui parti e funzioni sono delimitate e finalizzate, in
      cui non trova posto niente che non abbia prima ricevuto un «senso» in relazione al tutto. Essi
      ignorano che cosa sia la colpa, la responsabilità, il rispetto, questi organizzatori nati; in essi
      domina  quell’egoismo  terribile  dell’artista,  che  ha  uno  sguardo  d’acciaio  e  sa  di  essere
      giustificato  nell’«opera»,  come  la  madre  nel  figlio,  per  tutta  l’eternità.  Non  sono  costoro

      quelli in cui è cresciuta la «cattiva coscienza» – lo si intende benissimo dal principio – ma
      tuttavia senza di loro essa non sarebbe cresciuta, questa mala pianta, essa non esisterebbe se
      sotto il peso dei colpi dei loro martelli, della loro violenza di artisti non si fosse cacciato dal
      mondo, o per lo meno dalla vista e reso quasi latente un enorme quantum di libertà. Questo
      istinto della libertà reso latente dalla violenza – lo abbiamo già capito – questo istinto di
      libertà  represso,  soffocato,  incarcerato  nell’intimo,  che  finisce  per  non  potersi  scaricare  e
      sfrenare altro che contro se stesso: questo e solo questo è, al suo inizio, la cattiva coscienza.


         18.
         Guardiamoci  dal  sottovalutare  tutto  questo  fenomeno  solo  perché  esso  è,  fin  dall’inizio,
      sgradevole e doloroso. In fondo, la stessa forza attiva che agisce grandiosamente in quegli
      artisti e organizzatori della violenza e edifica stati, è quella che qui, nell’intimo, in dimensioni
      minori, più ridotte, volta all’indietro, nel «labirinto del cuore», per esprimerci con Goethe, si

      costruisce la cattiva coscienza e gli ideali negativi, è proprio lo stesso istinto della libertà
      (detto nella mia lingua: la volontà di potenza): solo che la materia su cui infuria la natura
      violenta  e  formatrice  di  questa  forza,  è  qui  proprio  l’uomo,  in  tutto  il  suo  sé  antico  e
      animalesco – e non, come in quell’altro più grande e più appariscente fenomeno, l’altro uomo,
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