Page 63 - Nietzsche - Genealogia della morale
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per questo mondo nuovo e sconosciuto non possedevano più le loro antiche guide, gli istinti
regolatori, inconsciamente incapaci di fallire – erano ridotti, poveri infelici, a pensare, a
dedurre, a calcolare, a combinare cause e effetti, ridotti alla loro «coscienza», al più
miserevole e ingannevole dei loro organi! Credo che mai sulla terra ci sia stato un tal senso di
miseria, un tale plumbeo disagio – mentre quegli istinti antichi non avevano certo cessato
improvvisamente di manifestare le loro esigenze! Solo che soddisfarle era difficile e solo
raramente possibile: in sostanza essi dovettero trovarsi nuove e quasi sotterranee
soddisfazioni. Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono all’interno –
questo è quella che io chiamo interiorizzazione dell’uomo: solo così si sviluppa nell’uomo
quella cosa che più tardi riceverà il nome di «anima». Tutto il mondo interiore, agli inizi
sottile come se fosse teso tra due strati epiteliali, si è espanso e spalancato, ha guadagnato
profondità, larghezza, altezza, tanto quanto le possibilità dell’uomo di scaricarsi all’esterno
sono state impedite. Quei bastioni terribili con cui l’organizzazione statale si proteggeva
contro gli antichi istinti della libertà – le pene sono fatte soprattutto di questi bastioni – fecero
sì che tutti quegli istinti dell’uomo libero e randagio, regredendo, si rivolgessero contro
l’uomo stesso. L’inimicizia, la crudeltà, il piacere della persecuzione, dell’attacco, delle
mutazioni, della distruzione – tutto quello che si rivolta contro i possessori di tali istinti:
questa è l’origine della «cattiva coscienza». L’uomo che in mancanza di nemici esterni e
resistenze, costretto nelle oppressive strettoie e regolarità di costumi, dilaniava impaziente se
stesso, si perseguitava, si torturava, si punzecchiava, si maltrattava, questo animale che si
butta contro le sbarre della sua gabbia ferendosi, che vogliono «domare», questo essere
privato di qualcosa, divorato dalla nostalgia del deserto, che ha dovuto fare di sé
un’avventura, una camera di tortura, una giungla mal sicura e piena di pericoli – questo
dissennato, questo prigioniero disperato e sitibondo di desiderio, diventò l’inventore della
«cattiva coscienza». Con ciò, però, si aprì la strada alla più grave e oscura malattia, da cui,
sino ad oggi l’umanità non è guarita, la sofferenza che l’uomo ha di sé, dell’uomo stesso:
come conseguenza di un distacco violento dal suo passato animale, di un salto, di una caduta
quasi, in nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di guerra contro gli
antichi istinti su cui fino ad allora aveva fondato la sua forza, il suo piacere e la sua temibilità.
Aggiungiamo subito che, d’altra parte, con il fatto di un’anima animale che si rivolge contro se
stessa, prendendo partito contro di sé, sulla terra era apparsa qualcosa di così nuovo,
profondo, inaudito, enigmatico, greve di contraddizioni e greve di futuro, che l’aspetto della
terra ne fu radicalmente mutato. In verità sarebbero necessari spettatori divini per apprezzare
lo spettacolo che aveva appena avuto inizio e la cui conclusione non è ancora assolutamente
prevedibile – uno spettacolo troppo raffinato, fantastico, troppo paradossale perché potesse
svolgersi assurdamente inosservato su un altro qualsiasi ridicolo pianeta! Da allora l’uomo
viene considerato uno dei colpi di fortuna più inaspettati ed eccitanti nel gioco condotto dal
«grande fanciullo» di Eraclito – sia esso Zeus o il caso – esso risveglia di per sé un interesse,
una tensione, una speranza, quasi una certezza, come se fosse l’annuncio di qualcosa, la
preparazione di qualcosa, come se l’uomo non fosse un fine, ma solo una via, un incidente, un
ponte, una grande promessa…
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