Page 68 - Nietzsche - Genealogia della morale
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impadronito  del  presupposto  religioso  per  spingere  il  proprio  automartirio  fino  alla  più

      orrenda durezza e raffinatezza. Un debito verso Dio: questo pensiero è per lui uno strumento di
      tortura. Coglie in «Dio» le contraddizioni ultime che riesce a trovare in relazione ai suoi tipici
      e non riscattabili istinti animali, reinterpreta anche questi istinti animali come colpa verso Dio
      (come ostilità, rivolta, ribellione contro il «Signore», il «Padre», il progenitore e il principio
      del mondo), si tende nella contraddizione «Dio» e «diavolo», riversa fuori di sé ogni no che
      dice a se stesso, alla natura, alla naturalità, alla realtà del suo essere, lo riversa fuori di sé
      come un sì, come qualcosa che esiste, qualcosa di corporeo, di reale, come dio, come santità

      di dio, come giudizio di dio, come patibolo di Dio, come al di là, eternità, martirio senza fine,
      inferno,  incommensurabilità  di  pena  e  colpa.  Questa  è  una  sorta  di  follia  del  volere  nella
      crudeltà  interiore  che  non  ha  certo  uguali:  la  volontà  dell’uomo  di  sentirsi  colpevole  e
      riprovevole tanto da non poter più espiare le sue colpe, la sua volontà di pensarsi punito,
      senza  che  la  pena  possa  mai  adeguarsi  alla  colpa,  la  sua  volontà  di  infettare  il  fondo  più
      remoto delle cose col problema della pena e della colpa, di intossicarlo, per precludersi una

      volta  per  sempre  ogni  via  di  uscita  da  questo  labirinto  di  «idee  fisse»,  la  sua  volontà  di
      istituirsi un ideale – quello del «Dio santo» –, e di essere incontrovertibilmente certo della
      propria assoluta indegnità di fronte a lui. Oh bestia uomo, com’è folle e triste! Quali idee le
      vengono in mente, e quale contronatura, quali parossismi di follia, quale bestialità dell’idea
      esplodono  non  appena  viene  frenata  nel  suo  essere  bestia  dell’azione!…  Tutto  ciò  è
      eccezionalmente  interessante,  ma  anche  di  una  nera,  cupa  e  snervante  tristezza;  cosicché
      dobbiamo costringerci con la forza a non fissare lo sguardo troppo a lungo in questi abissi.

      Qui c’è malattia, non c’è dubbio, la più orribile malattia che abbia mai devastato l’uomo sino
      a oggi – e chi ancora riesce a udire (ma oggi non si hanno più orecchie per cose simili! –), in
      questa  notte  di  martirio  e  di  assurdità,  l’eco  del  grido  amore,  il  grido  del  trasporto  più
      struggente, della salvezza nell’amore, si ritrae, colto da un orrore invincibile!… Nell’uomo
      c’è tanto di orribile!… Per troppo tempo la terra fu un manicomio!…


         23.
         Sull’origine del «Dio santo» basti questo, una volta per sempre. – Che la concezione degli
      dei in sé non debba necessariamente condurre a questo deterioramento della fantasia della cui
      visualizzazione  non  abbiamo  potuto,  per  un  attimo,  fare  a  meno,  che  esistano  maniere  più
      nobili  di  servirsi  dell’invenzione  fantastica  degli  dei,  che  per  questa  autocrocifissione  e
      questo autolesionismo dell’uomo, in cui gli ultimi millenni dell’Europa sono stati maestri –
      tutto ciò lo si può ancora, per fortuna, desumere da ogni sguardo rivolto agli dei greci, questi

      specchiati riflessi di uomini aristocratici e signori di sé, nei quali la bestia che è nell’uomo si
      sentiva divinizzata e non dilaniava se stessa, non infuriava contro se stessa! Questi Greci si
      sono  serviti  per  lunghissimo  tempo  dei  loro  dèi,  proprio  per  allontanare  da  sé  la  «cattiva
      coscienza»,  per  potersi  rallegrare  della  loro  libertà  spirituale:  dunque  in  una  accezione
      opposta all’uso che il cristianesimo ha fatto del suo Dio. In ciò essi si spinsero molto lontano,

      queste splendide e leonine teste di fanciulli; e addirittura una autorità come quella dello Zeus
      omerico  ogni  tanto  fa  loro  capire  che  si  comportano  troppo  superficialmente.  «Strano!»  –
      disse una volta – si trattava del caso di Egisto, di un caso molto grave.
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