Page 73 - Nietzsche - Genealogia della morale
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alla fine ha voluto insegnare qualcosa di nuovo sull’argomento... E non solo dall’alto delle
scene, con gli ottoni del Parsifal – nella oscura, tanto poco libera quanto confusa attività
letteraria dei suoi ultimi anni esistono cento passi che tradiscono un desiderio segreto, una
volontà, una volontà disperata, insicura, inconfessabile di predicare proprio il ritorno, la
conversione, la negazione, il cristianesimo, il Medioevo, e di dire ai suoi discepoli «non è
vero! cercate altrove la salvezza!». Una volta viene invocato addirittura il «sangue del
Redentore»...
4.
In un caso come questo, che ha molti aspetti spiacevoli – ed è un caso tipico – mi sia
concesso esprimere la mia opinione: è cosa ottima separare l’artista dalla sua opera, tanto da
non prenderlo così sul serio come la sua opera. L’artista è, in fondo, solo il presupposto della
sua opera, il grembo materno, il terreno, a seconda dei casi il fertilizzante e il concime su cui,
da cui essa nasce – e di conseguenza, nella maggior parte dei casi, è qualcosa da dimenticare
se si vuole godere dell’opera stessa. La conoscenza dell’origine di una opera interessa
fisiologi e vivisettori dello spirito: mai e in nessun modo gli esteti, gli artisti! Al poeta e al
creatore del Parsifal non fu risparmiato un profondo, totale, addirittura spaventoso rivivere e
sprofondare nei contrasti medievali dell’anima, un ostile distacco da ogni altezza, da ogni
severità e disciplina dello spirito, una specie di perversità (mi si passi il termine)
intellettuale, né più né meno come a una donna incinta non vengono risparmiate le nausee e le
stranezze della gravidanza, tutte cose che, come si è detto, devono essere dimenticate, per
poter gioire del figlio. Ci si deve guardare dalla confusione in cui l’artista finisce anche
troppo spesso per incorrere, per contiguity psicologica, per dirla con gl’Inglesi; come se
fosse lui stesso quello che egli può rappresentare, pensare, esprimere. In realtà, se l’artista
fosse tutto ciò, non potrebbe certo rappresentarlo, pensarlo, esprimerlo: un omero non avrebbe
creato nessun Achille e un Goethe nessun Faust se Omero fosse stato Achille e Goethe Faust.
Un artista totale e compiuto è staccato per l’eternità dal «reale», dall’effettuale; d’altro canto
si capisce come egli possa disperatamente stancarsi di questa eterna «irrealtà» e falsità della
sua esistenza più intima e che quindi tenti di sconfinare una volta in ciò che gli è più vietato,
nel reale, e di essere reale. Con quale esito? Lo si può indovinare... È la tipica velleità
dell’artista: la stessa velleità cui si piegò anche il vecchio Wagner e che dovette pagare così
cara e in modo così fatale (– perse, proprio a cagione di esso, i suoi amici più validi). Per
finire però, prescindendo ancora del tutto da questa velleità, chi non vorrebbe augurarsi
proprio per amore di Wagner stesso, che egli si fosse congedato in modo diverso da noi e
dalla sua arte, non con un Parsifal, ma in maniera più trionfante, più certa di sé, più
wagneriana – in maniera meno ingannevole, meno equivoca rispetto all’intierezza del suo
volere, meno schopenaueriana, meno nichilistica?...
5.
Allora, che significato hanno gli ideali ascetici? Nel caso di un artista, lo comprendiamo
gradualmente: proprio niente!... Oppure tante cose diverse, che finiscono per essere niente lo
stesso!... Eliminiamo, prima di tutto gli artisti: non sono affatto tanto indipendenti nel mondo e
contro il mondo, perché i loro giudizi di valore e le relative metamorfosi possano essere in sé