Page 69 - Nietzsche - Genealogia della morale
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«Strano, come i mortali continuino a lamentarsi degli dei!
      Solo da noi verrebbe il male, così pensano; ma essi stessi
      per mancanza di senno, anche contro il destino, si creano la sventura».

         – Qui si vede e si sente al tempo stesso che questo spettatore e giudice olimpico è ben
      lontano dall’essere ostile e dal pensare male di loro: «Che stolti sono!» egli pensa dei misfatti
      dei  mortali  –  e  «stoltezza»,  «mancanza  di  senno»,  un  po’  di  «alterazione  mentale»  anche  i

      Greci dell’età più vigorosa e audace se le sono concesse per spiegarsi la cagione di molti
      mali e di accadimenti funesti – stoltezza non peccato! capite?… Ma anche questa «alterazione
      mentale» era un problema – già, come è mai possibile? da dove può essere arrivata a menti
      come le nostre, di uomini quali noi siamo, di nobile nascita, felici, ben costrutti, socialmente
      elevati, aristocratici, virtuosi?» Questo si è chiesto per secoli il nobile greco di fronte a orrori
      e nefandezze che non riusciva a comprendere, e di cui si fosse macchiato qualcuno dei suoi

      simili.  «Certo  un  dio  lo  avrà  accecato»,  finiva  per  dirsi,  scuotendo  la  testa...  Questa
      scappatoia è tipica dei Greci… Così allora gli dei servivano a giustificare, fino a un certo
      punto, l’uomo anche nel male, essi servivano come cause del male – allora non assumevano su
      se stessi la pena, ma, cosa molto più nobile, la colpa…

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         Concludo  con  tre  interrogativi,  come  si  vede  bene.  «Ma  qui  si  sta  instituendo  o  si  sta

      smantellando  un  ideale?»  mi  si  potrebbe  chiedere…  Ma  voi  vi  siete  mai  sufficientemente
      chiesti  quanto  è  costata  cara  sulla  terra  l’istituzione  di  ogni  ideale?  Quanta  realtà  dovette
      perciò  essere  calunniata  e  misconosciuta,  quanta  menzogna  santificata,  quante  coscienze
      turbate,  quanta  «divinità»  sacrificata  ogni  volta?  Perché  un  santuario  venga  innalzato,  un
      santuario deve essere abbattuto: questa è la legge: – mostratemi in quali casi non ha trovato il
      suo adempimento!… Noi uomini moderni, siamo gli eredi di una vivisezione della coscienza e

      di una crudeltà contro gli animali esercitata su noi stessi, vecchie di millenni: e in ciò abbiamo
      la  nostra  più  lunga  pratica,  forse  la  nostra  vocazione  artistica,  in  ogni  caso  la  nostra
      raffinatezza e la depravazione del gusto. L’uomo ha guardato troppo a lungo le sue tendenze
      naturali con «occhio cattivo» cosicché queste hanno finito per legarsi strettamente alla «cattiva
      coscienza». Sarebbe mai possibile, in sé, un tentativo opposto – ma chi ne avrebbe la forza? –,
      e  cioè  il  tentativo  di  unire  direttamente  alla  cattiva  coscienza  le  tendenze  innaturali,  tutte
      quelle aspirazioni alla trascendenza, contrarie al senso, all’istinto, alla natura, all’animalità, in

      breve tutti gli ideali che sono esistiti sino a oggi, ideali che sono tutti ostili alla vita, ideali che
      denigrano  il  mondo.  A  chi  rivolgersi  oggi  con  tali  speranze  e  tali  esigenze?…  Proprio  gli
      uomini buoni sarebbero contro di noi; e poi, ovviamente, i pigri, i riconciliati, i vanitosi, i
      sognatori,  gli  stanchi…  Che  cosa  offende  più  profondamente,  –  che  cosa  divide  più
      decisamente  che  il  far  notare  un  po’  della  severità  e  della  grandezza  con  cui  trattiamo  noi

      stessi?  E  d’altro  canto  –  quanta  comprensione  e  quanto  affetto  il  mondo  ci  dimostra,  non
      appena  ci  comportiamo  come  tutto  il  resto  del  mondo  e  allo  stesso  modo  ci  «lasciamo
      andare»!…  Per  quello  scopo  ci  vorrebbe  una  specie  di  spiriti  diversa  da  quelli  che  sono
      verosimili proprio in questa epoca: spiriti resi più forti da guerre e vittorie, per i quali le
      conquiste, le avventure, i pericoli, il dolore sono diventati addirittura un bisogno; per tutto ciò
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