Page 74 - Nietzsche - Genealogia della morale
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interessanti! In ogni epoca essi sono stati i lacchè di una morale o di una filosofia o di una

      religione;  senza  poi  voler  considerare  il  fatto  che  purtroppo,  abbastanza  spesso,  sono  stati
      troppo  duttili  cortigiani  –  dei  loro  seguaci  e  mecenati,  e  anche  adulatori  dal  gran  fiuto  di
      potenze di antica o fresca data. Per lo meno, hanno sempre bisogno di una barriera difensiva,
      di un sostegno, di un’autorità già costituita: gli artisti non saranno mai da soli, l’isolamento
      contrasta con i loro istinti più profondi. Così, per esempio, Richard Wagner, «quando fu giunto
      il tempo», prese il filosofo Schopenhauer come suo battistrada e difesa: chi potrebbe ritenere
      anche  solo  probabile  che  egli  avrebbe  avuto  il  coraggio  di  un  ideale  ascetico  senza  il

      sostegno che gli offriva la filosofia di Schopenhauer, senza l’autorità di Schopenhauer che in
      Europa, negli anni settanta stava per prendere il sopravvento? (senza tenere conto qui della
      possibilità o meno di esistenza, nella nuova Germania, di un artista privo del latte di un modo
      di pensare pio e devotamente imperiale) –. E con ciò siamo arrivati alla questione più grave:
      che senso ha se un filosofo vero professa ideali ascetici, uno spirito realmente fondato su se
      stesso come Schopenhauer, un uomo e un cavaliere dallo sguardo metallico, che ha il coraggio

      di essere se stesso, che sa stare da solo, senza aspettare battistrada e consigli dall’alto? –
      Prendiamo  immediatamente  la  posizione  di  Schopenhauer  di  fronte  all’arte,  una  posizione
      notevole e per un certo tipo di uomini addirittura affascinante: perché è palese che soprattutto
      a causa di questa Richard Wagner si avvicinò a Schopenhauer (convinto a questo passo, come
      è  noto,  da  un  poeta,  da  Herwegh),  in  grado  tale  da  far  scoppiare  tra  il  suo  credo  estetico
      precedente e quello più tardo una assoluta contraddizione teorica – il primo è espresso, per
      esempio, in «Opera e dramma», il secondo negli scritti pubblicati a partire dal 1870. La cosa

      più sorprendente è che Wagner mutò in modo particolare il suo giudizio sul valore e sulla
      posizione della musica stessa: che cosa gliene importava di averne fatto, sino ad allora, un
      mezzo, un medium, un «donna», che per fiorire ha bisogno di uno scopo, di un uomo – cioè del
      dramma – ! Improvvisamente capì che con la teoria e con l’innovazione schopenaueriane si
      poteva fare qualcosa di più in majorem musicae gloriam, – vale a dire con la sovranità della

      musica, come la intendeva Schopenhauer: la musica collocata a parte rispetto a tutte le altre
      arti, l’arte indipendente in sé, che non offre, come le altre, riproduzioni della fenomenalità, ma
      parla invece la lingua della volontà stessa, derivandola direttamente dal «profondo», come la
      sua rivelazione più autentica, più originaria, più diretta. Con questo straordinario incremento
      di valore della musica, quale sembrava discendere dalla filosofia di Schopenhauer, anche il
      musicista crebbe immediatamente di valore: diventò un oracolo, un sacerdote, anzi più di un
      sacerdote, una specie di megafono dell’«in sé» delle cose, un telefono dell’al di là – a partire
      da questo momento non parlò solo di musica, questo ventriloquo di Dio – parlò di metafisica;

      perché meravigliarsi quindi, se un bel giorno si è messo a parlare di ideali ascetici...?

         6.
         Schopenhauer  si  è  giovato  della  concezione  kantiana  del  problema  estetico  anche  se  è
      chiaro che non lo ha considerato con uno sguardo kantiano. Kant riteneva di rendere omaggio

      all’arte preferendo e mettendo in primo piano, tra i predicati del bello, quelli che formano il
      vanto  della  conoscenza:  impersonalità  e  validità  universale.  Non  è  questo  il  luogo  per
      discutere se questo non sia stato, in fondo, un errore; voglio solo sottolineare il fatto che Kant,
      come tutti i filosofi, invece di mettere a fuoco il problema estetico partendo dall’esperienza
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