Page 75 - Nietzsche - Genealogia della morale
P. 75
dell’artista (del creatore), ha meditato sull’arte e sul bello solo dal punto di vista dello
«spettatore» e ha compreso, così facendo, senza accorgersene, anche lo «spettatore» nel
concetto di «bello»! E se almeno i filosofi del bello avessero conosciuto bene questo
«spettatore»; cioè come grande fatto e esperienza personale, come una pienezza di
particolarissime e forti esperienze, desideri, sorprese, gioie nella sfera del bello! Invece,
come temo, si è verificato sempre l’opposto, e così essi ci hanno dato, sin dagli inizi,
definizioni nelle quali, come in quella famosa che Kant dà del bello, la mancanza di una più
raffinata esperienza personale assume l’aspetto di un grosso verme, di un errore di base. Kant
ha detto: «Bello è ciò che piace disinteressatamente». Disinteressatamente! Si confronti
questa definizione con quell’altra, data da uno «spettatore» e da un artista «vero» – Stendhal,
che chiama il bello une promesse de bonheur. Qui si rifiuta e si elimina in ogni caso, proprio
la unica cosa che Kant valorizza nella condizione estetica: le désintéressement. Chi ha
ragione, Kant o Stendhal? – Certo che se i nostri esteti non si stancheranno di buttare sulla
bilancia, a favore di Kant, il fatto che grazie alla magia dell’arte si possono guardare «senza
interesse» anche statue di donne nude, ci sarà ben concesso di ridere un po’ alle loro spalle –
le esperienze degli artisti, relative a questa scabrosa questione, sono molto «più interessanti»,
e Pigmalione, non dovette essere, in nessun caso, necessariamente un «uomo non estetico».
Giudichiamo quindi piuttosto con benevolenza la innocenza dei nostri esteti che si rispecchia
in tali argomenti, e rendiamo per esempio onore a Kant per quello che sa insegnare sulle
caratteristiche particolari del tatto con una ingenuità da parroco di campagna! – E torniamo
quindi a Schopenhauer che era vicino alle arti in modo del tutto diverso da Kant, eppure non
riuscì mai a liberarsi dal fascino magico della definizione kantiana: come è avvenuto ciò? Il
fatto è abbastanza curioso: egli interpreta la parola «disinteressatamente» in modo tutto
personale, partendo dall’esperienza che per lui deve essere stata la più normale di ogni altra.
Di poche cose Schopenhauer parla con tanta sicurezza come dell’effetto della contemplazione
estetica: le attribuisce una funzione antagonista rispetto all’«interesse» sessuale, come la
canfora e la luppolina; egli non si è mai stancato di esaltare questa liberazione dalla
«volontà» come il grande vantaggio e la grande utilità della condizione estetica. Si potrebbe
anzi essere tentati di chiedere se la concezione di fondo della sua «Volontà e
rappresentazione», il pensiero che sia possibile una redenzione della «volontà» solo
attraverso la «rappresentazione», sia nata da una generalizzazione di questo tipo di esperienza
del sesso. (In tutto quello che riguarda la filosofia schopenhaueriana, non si deve mai
dimenticare, lo noto di passata, che essa è la concezione di un giovane di ventisei anni; e che
perciò essa partecipa non solo dello specifico schopenhaueriano, ma anche dello specifico di
quella età della vita). Ascoltiamo, per esempio, uno dei brani più significativi tra quelli scritti
in omaggio alla condizione estetica («Mondo come volontà e rappresentazione», I p. 231),
ascoltiamo il tono, la sofferenza, la felicità, la gratitudine con cui sono state dette queste
parole. È questo lo stato d’assenza di dolore che Epicuro esaltava come il bene sommo e
come condizione divina; per quell’attimo siamo liberati dall’impulso infame del volere,
celebriamo il sabato del lavoro forzato della volontà, ferma sta la ruota d’Issione...». Che
veemenza in queste parole! Che immagini di pena e di lunga noia! Che contrapposizione, quasi
patologica, di tempo tra «quell’attimo» e quella «ruota di Issione», il «lavoro forzato della
volontà», l’«impulso infame del volere»! Posto anche che Schopenhauer abbia cento volte