Page 58 - Nietzsche - Genealogia della morale
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delitti contro la legge, come una ribellione contro la stessa suprema autorità, essa distrae il
sentimento dei suoi soggetti dal danno prossimo, provocato da tali reati e ottiene, a lungo
andare, il contrario di ciò che vuole ogni vendetta, la quale guarda solo al punto di vista del
danneggiato e solo quello ritiene valido –: d’ora in poi l’occhio viene esercitato a una
valutazione sempre più impersonale dell’azione, anche l’occhio dello stesso danneggiato
(anche se per ultimo, come abbiamo notato prima). – In conformità a ciò, solo a partire dalla
istituzione della legge esiste «diritto» e «torto» (e non, come vuole Dühring, a partire dall’atto
lesivo). Non ha assolutamente senso parlare di diritto e di torto in sé; in sé offendere, fare
violenza, sfruttare, annullare non può essere niente di «contrario al diritto», in quanto la vita è
essenzialmente, cioè nelle sue funzioni di fondo, qualcosa che offende, violenta e sfrutta e non
può nemmeno essere pensata priva di questo carattere. E dobbiamo confessarci anche
qualcosa di più grave: cioè che, dal più elevato punto di vista biologico, stati di diritto
possono essere sempre solo stati eccezionali, come restrizioni parziali della vera e propria
volontà di vita che aspira alla potenza, e sottomettendosi come mezzi particolari al fine
complessivo di questa volontà: cioè come mezzi per creare unità di potenza più grandi. Un
ordinamento giuridico pensato come sovrano e generale, non come mezzo nella lotta tra
complessi di potenza, ma come mezzo contro ogni lotta in genere, pressappoco secondo il
modulo comunista di Dühring, per cui ogni volontà deve considerare simile ogni volontà,
sarebbe un principio ostile alla vita, una realtà che distrugge e dissolve l’uomo, un attentato al
futuro dell’uomo, un segno di stanchezza, un cammino tortuoso verso il nulla. –
12.
Ancora un accenno all’origine e allo scopo della pena – due problemi che sono divergenti e
tali dovrebbero essere considerati: purtroppo, di solito, essi vengono fatti confluire in un solo.
Come si sono comportati, in questo caso, sino ad oggi i nostri genealogisti della morale?
Ingenuamente, come hanno sempre fatto –: scoprono un «fine» qualsiasi nella pena, per
esempio la vendetta o l’intimidazione, e candidamente quindi pongono questo fine all’origine,
come causa fiendi della pena e – il gioco è fatto. Ma il «fine nel diritto» è l’ultimo motivo cui
ricorrere per una storia della formazione del diritto: anzi non esiste, per ogni tipo di storia,
alcun principio più importante di quello, conquistato con tanta fatica e che inoltre proprio così
doveva essere conquistato – secondo cui le cause della nascita di una cosa e la sua finale
utilità, come anche la sua reale utilizzazione e il suo inserimento in un sistema di fini, sono
toto coelo separati l’una dall’altra; che qualche cosa che esiste, in qualche modo realizzatasi,
torna sempre ad essere interpretata in vista di nuove intenzioni, da una potenza ad essa
superiore, viene sequestrata di nuovo, ristrutturata e riadattata per nuove utilità: che tutto ciò
che accade nel mondo organico è un sopraffare, un dominare e che d’altra parte, tutto il
sopraffare e il dominare è un nuovo interpretare, un sistemare, in cui, di necessità, il «senso» e
lo «scopo» validi sino a quel momento, devono appannarsi o spegnersi completamente. Anche
se si fosse compresa l’utilità di un qualsiasi organo psicologico (o anche di una istituzione
giuridica, di un costume sociale, di un uso politico, di una forma nelle arti o nel culto
religioso), non si sarebbe certo ancora capito nulla in ordine alla sua origine: per quanto ciò
possa suonare scomodo e sgradevole a orecchie più vecchie – poiché da sempre si è creduto
di cogliere nello scopo dimostrabile, nell’utilità di una cosa, di una forma, di un’istituzione,