Page 56 - Nietzsche - Genealogia della morale
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del singolo, perché esse non possono più essere considerate, come per l’innanzi, così
pericolose e eversive per l’esistenza del tutto: il trasgressore non viene più «messo al bando»
e escluso, la collera generale non può più scatenarsi contro di lui sfrenatamente come prima –
anzi al contrario, a partire da quel momento, il malfattore sarà accuratamente protetto e difeso
dalla comunità contro questa collera e particolarmente contro quella di coloro che sono stati
direttamente danneggiati. Il compromesso con la collera di coloro che sono stati più di tutti
colpiti dalla cattiva azione; uno sforzo per focalizzare il caso e prevenire una più estesa o anzi
generale partecipazione e stato di ansia; tentativi di trovare degli equivalenti e di sistemare
tutta l’azione (la compositio); prima di tutto la volontà, che si fa strada con sempre maggiore
decisione, di ritenere ogni trasgressione in qualche modo compensabile col denaro, cioè di
isolare, per lo meno in una qualche misura, il delinquente dalla sua azione – ecco i tratti che si
sono impressi sempre più chiaramente sull’ulteriore sviluppo del diritto penale. Se la forza e
l’autocoscienza di una comunità crescono, anche il diritto penale si addolcisce, ogni
indebolimento e ogni più profondo stato di pericolo porta di nuovo alla luce forme più dure di
questo. Il «creditore» si è fatto sempre più umano a misura che la sua ricchezza aumentava:
alla fine misura stessa della sua ricchezza è diventata la sua capacità di sopportare dei danni
senza soffrirne. Non sarebbe inconcepibile una consapevolezza di forza da parte della
società, per cui essa potesse concedersi il lusso più aristocratico possibile – lasciare impuniti
coloro che le arrecano pregiudizio. «Che cosa mi importa dei miei parassiti?» potrebbe dire.
«Vivano pure e prosperino: sono ancora abbastanza forte da permettermelo!»… La giustizia,
che era cominciata con il «tutto è compensabile col denaro, tutto deve essere compensato col
denaro», finisce per chiudere un occhio e lasciar andare gli insolventi – finisce, come ogni
cosa buona sulla terra, per annullare se stessa. Questo autoannullamento della giustizia: si sa
bene con quale bel nome viene chiamato – grazia; essa resta, come è ovvio, prerogativa del
più potente, meglio ancora, il suo al di là del diritto.
11.
E ora una parola di rifiuto per i recenti tentativi di cercare l’origine della giustizia su un
terreno del tutto diverso – cioè quello del ressentiment. Confidiamolo prima di tutto agli
psicologi, ammesso che abbiano veramente voglia di studiare finalmente da vicino il
ressentiment: questa pianta fiorisce oggi in tutto il suo splendore tra gli anarchici e gli
antisemiti, come del resto è sempre fiorita, nascosta, simile alla violetta, anche se il suo
profumo è ben altro. E come da simile non può che derivare simile, non c’è da meravigliarsi
se proprio da questi ambienti nasceranno tentativi, come già spesso ce ne sono stati – cfr. p. 30
– di sacralizzare la vendetta col nome di giustizia – come se la giustizia, in fondo, non fosse
altro che un’evoluzione del sentimento di essere stato offeso – per rendere onore poi, con la
vendetta, agli affetti reattivi in genere e a tutti gli altri, Di quest’ultima cosa non mi
scandalizzerei troppo: anzi mi sembrerebbe quasi un merito, se rapportata a tutto il problema
biologico (in relazione al quale il valore di codesti affetti è stato fino ad oggi sottovalutato).
La sola cosa che vorrei sottolineare, sta nel fatto che è proprio lo spirito del ressentiment a
produrre questa nuova nuance di equità scientifica (a favore di odio, invidia, inimicizia,
sospetto, rancore e vendetta). Infatti questa «equità scientifica» ha immediatamente un arresto
e fa posto ad accenti di mortale inimicizia e di prevenzione, non appena si tratti di un altro