Page 51 - Nietzsche - Genealogia della morale
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In ogni modo richiamare alla mente questi rapporti contrattuali, risveglia, come è naturale
aspettarsi dopo quello che abbiamo precedentemente osservato, ogni genere di sospetto e di
resistenza contro l’umanità più antica che li ha creati o permessi. Proprio qui si fanno le
promesse; proprio qui si tratta di fare una memoria a colui che promette; proprio questo, è
consentito sospettarlo, sarà il luogo di ritrovamento di cose dure, crudeli, sgradevoli. Per
rendere credibile la sua promessa di restituzione, per garantire la serietà e la sacralità della
promessa, per imporre a se stesso e alla sua coscienza la restituzione come un dovere,
un’obbligazione, il debitore offre, con un contratto, in pegno al creditore, per il caso di una
possibile insolvenza, qualcosa che egli ancora «possiede», qualcosa su cui ha ancora potere,
per esempio il proprio corpo, la propria donna, la libertà o anche la propria vita (o, secondo
certi presupposti religiosi, addirittura la sua beatitudine, la salvezza della sua anima, e infine
anche la pace del sepolcro: come in Egitto, dove neppure nella tomba il cadavere del debitore
trovava pace dal creditore – e proprio per gli Egizi questa pace aveva un senso particolare).
Ma proprio contro il corpo del debitore il creditore poteva usare ogni genere di offesa e di
tortura, per esempio farne tagliare tanta parte quanta riteneva fosse commisurata
all’ammontare del debito – e proprio da questo modo di vedere si originarono molto presto e
dovunque parametri valutativi molto precisi, in parte atroci nei loro piccoli e minutissimi
dettagli, valutazioni, opportunamente fissate, per le singole membra e parti del corpo. Ritengo
che costituisca già un progresso, la prova di una concezione del diritto più libera, più
magnanima, più romana, il fatto che a Roma le dodici tavole decretassero che dovesse essere
ritenuta cosa indifferente quanto o quanto poco i creditori tagliavano dal corpo del debitore,
«si plus minusve secuerunt, ne fraude esto». Chiariamo la logica di tutto questo tipo di
compensazione: essa è molto poco usuale. L’equivalenza deriva dal fatto che invece di un
vantaggio direttamente riferito al danno (cioè, invece di un risarcimento in denaro, terra o
proprietà di vario tipo) viene concessa al creditore una specie di sensazione di benessere
come rimborso del debito e risarcimento – la sensazione è di poter dare libero sfogo alla
propria potenza nei confronti di un impotente, la voluttà «de faire le mal pour le plaisir de le
faire», il piacere di usare violenza: piacere che in quanto tale viene apprezzato tanto più
quanto più infimo e misero è il creditore nell’ordine della scala sociale, e che può sembrargli
facilmente un boccone prelibato, anzi come pregustazione di un rango più elevato. Per il
tramite della «pena» inflitta al debitore, il creditore partecipa di un diritto signorile;
finalmente può godere del sentimento gratificante di poter disprezzare e maltrattare un essere
umano come qualcosa che sta «sotto di lui» – o per lo meno, nel caso che il vero e proprio
potere penale, l’applicazione di una pena sia già stata affidata «all’autorità», di vederlo
disprezzato e maltrattato. La compensazione consiste dunque in un mandato e in un diritto alla
crudeltà. –
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In questa sfera, nel diritto delle obbligazioni dunque, ha il suo primo focolare il mondo dei
concetti morali di «colpa», «coscienza», «dovere», «sacralità del dovere» – i suoi inizi, come
quelli di tutto ciò che è grande in terra, sono stati bagnati a lungo e in profondità dal sangue. E