Page 48 - Nietzsche - Genealogia della morale
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così come fa chi promette!


         2.
         E  questa  è,  invero,  la  lunga  storia  della  origine  della  responsabilità.  Quel  compito  di
      allevare  un  animale,  cui  sia  concesso  promettere,  include,  già  l’abbiamo  intuito,  come
      condizione e preparazione, l’impegno più diretto di rendere, per prima cosa, l’uomo, sino a un
      certo grado, necessario, uniforme, uguale tra gli uguali, conforme alla regola e di conseguenza
      prevedibile. L’enorme lavoro di quella che ho chiamato «eticità dei costumi» (cfr. «Aurora»,

      pp. 7; 13; 16) – il vero lavoro che l’uomo deve compiere su se stesso nel più lungo spazio di
      tempo  del  genere  umano,  tutto  il  suo  lavoro  preistorico  trova  qui  il  suo  significato,  la  sua
      grande  giustificazione,  a  prescindere  da  quanto  esso  comporti  di  durezza,  di  tirannia,  di
      stolidità e di idiotismo: con l’ausilio dell’eticità dei costumi e della camicia di forza sociale
      l’uomo  è  stato  reso  realmente  prevedibile.  Se  ci  poniamo  invece  al  termine  dell’immane
      processo là dove l’albero porta finalmente i suoi frutti, dove la società e la sua eticità dei

      costumi rivela il fine di cui fu solo il mezzo, vedremo come il più maturo frutto del suo albero
      l’individuo sovrano, uguale solo a se stesso, emancipato di nuovo dalla eticità dei costumi,
      l’individuo  autonomo  e  sovramortale  (ché  «autonomo»  e  «etico»  sono  termini  che  si
      escludono a vicenda), in breve, l’uomo dalla volontà propria, indipendente, duratura, cui è
      concesso promettere – e in lui un’orgogliosa coscienza che vibra in ogni muscolo, di quello
      che è stato raggiunto e che in lui si è incarnato, una coscienza reale di potenza e di libertà, un
      sentimento  di  compiutezza  dell’uomo  in  generale.  Questo  essere  fattosi  libero,  che  può

      realmente promettere, questo signore della libera volontà, questo sovrano – in che modo mai
      potrebbe ignorare quale superiorità abbia così acquistato su coloro ai quali non è permesso
      promettere  né  farsi  mallevadori  per  se  stessi  e  quanta  fiducia,  quanto  timore,  quanta
      venerazione egli susciti – le «merita» tutte e tre queste cose – e come, con il dominio di sé, gli
      venga  necessariamente  dato  anche  il  dominio  delle  circostanze,  della  natura  e  di  tutte  le

      creature  dalla  volontà  meno  ferma  e  meno  responsabile?  L’uomo  «libero»,  padrone  di  una
      volontà  ferma  e  incrollabile,  trova  in  questo  possesso  anche  la  sua  misura  di  valore:
      rivolgendosi agli altri dal suo punto di vista, egli onora o disprezza; e con la stessa necessità
      con cui onora i suoi simili, i forti, i responsabili (quelli cui è concesso promettere), insomma
      tutti coloro che promettano non diversamente da personaggi regali, con difficoltà, di rado e
      senza fretta, che non buttino via la loro fiducia, che concedendola a qualcuno tributino  una
      distinzione,  che  diano  la  loro  parola  come  qualcosa  cui  affidarsi  perché  si  sanno  forti
      abbastanza da poterla mantenere malgrado ogni calamità, anche «contro il destino» – con la

      stessa necessità terrà in serbo i suoi calci per i fragili levrieri che promettono, senza esserne
      autorizzati, e la sua frusta per il bugiardo che tradisce la sua parola nell’istante stesso in cui la
      pronuncia.  L’orgogliosa  certezza  dello  straordinario  privilegio  della  responsabilità,  la
      coscienza di questa libertà rara, di questo potere su se stesso e sul destino, sono penetrate in
      lui sino alle sfere più profonde, per farsi istinto, istinto dominante – come lo chiamerà questo

      l’istinto dominante, posto che senta in sé la necessità di un termine per definirlo? Ma è fuor di
      dubbio: questo uomo sovrano lo chiamerà, coscienza…

         3.
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