Page 45 - Nietzsche - Genealogia della morale
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contronatura stessa, come un monstrum ai suoi antipodi; a Roma l’Ebreo era ritenuto «reo
convinto di odio contro tutto il genere umano»: a buon diritto, in quanto si ha un diritto di
riconnettere la salvezza ed il futuro del genere umano al dominio assoluto dei valori
aristocratici, dei valori romani. E gli Ebrei, invece, quali erano i loro sentimenti verso Roma?
Lo si indovina da mille segni; ma basta anche soltanto ripensare attentamente all’apocalisse
giovannea, a questa che è la più squallida tra tutte le invettive scritte, che la vendetta abbia
sulla coscienza. (Non si sottovaluti, infatti, la profonda logica dell’istinto cristiano che
proprio su questo libro dell’odio scrisse il nome del discepolo dell’amore, quello stesso cui
attribuì quel vangelo dell’amore estatico: in ciò c’è una parte di verità per quanta
falsificazione letteraria sia stata necessaria a questo scopo). I Romani rappresentavano, infatti,
i forti e gli aristocratici, come sulla terra non sono mai esistiti di più forti e più nobili, né tanto
meno sono stati mai sognati: ogni loro vestigio, ogni loro iscrizione è una gioia, posto che si
indovini che cosa scrive in essi. Gli Ebrei, invece, erano quel popolo sacerdotale, del
risentimento par excellence, cui era innata una ineguagliabile genialità popolare – morale:
basta paragonare infatti gli Ebrei ai popoli in possesso di qualità affini, ai Cinesi o anche ai
Tedeschi, per capire perfettamente che cosa è di primo e che cosa è di quarto grado. Chi di
essi ha temporaneamente vinto, Roma o la Giudea? Ma non è possibile alcun dubbio:
pensiamo davanti a chi, proprio a Roma, ci si inchina oggi, come davanti alla summa di ogni
valore supremo – e non solo a Roma, ma quasi su metà della terra, ovunque l’uomo sia stato
reso mansueto o voglia diventarlo – dinnanzi cioè a tre ebrei, come ben si sa, e dinnanzi a
un’ebrea (dinnanzi a Gesù di Nazareth, a Pietro il pescatore, a Paolo tessitore di tappeti, e alla
madre del già citato Gesù, detta Maria). Questo è molto interessante: senza ombra di dubbio
Roma è stata sconfitta. In ogni modo il Rinascimento rappresentò il risveglio grandiosamente
inquietante dell’ideale classico, della maniera aristocratica di giudicare tutte le cose: allo
stesso modo di chi si è risvegliato da una morte apparente, Roma stessa si mosse sotto il peso
della nuova Roma giudaizzata costruita su quella antica, che aveva l’aspetto di una sinagoga
ecumenica e che veniva chiamata «Chiesa»; ma immediatamente Giudea tornò a trionfare,
grazie a quel movimento di ressentiment essenzialmente plebeo (tedesco e inglese) cui si dà il
nome di Riforma, con in più tutte le sue conseguenze, la restaurazione della Chiesa – la
restaurazione anche della vecchia cimiteriale quiete della Roma classica. Con la Rivoluzione
Francese, Giudea tornò ancora a sconfiggere l’ideale classico, in un senso ancora più decisivo
e profondo: l’ultima aristocrazia politica esistente in Europa, quella del XVII e XVIII secolo
francese, crollò sotto gli istinti popolari del ressentiment – e mai sulla terra si vide giubilo
maggiore e più rumoroso entusiasmo! È vero che proprio al suo culmine accadde la cosa più
mostruosa e inattesa: lo stesso ideale antico apparve in carne ed ossa e con splendore mai
visto agli occhi e alle coscienze dell’umanità – e ancora una volta risuonò, più semplice più
forte e più penetrante che mai, di fronte alla antica fallace formula del privilegio dei più,
propria del ressentiment, di fronte alla volontà di deteriorare, abbassare, livellare, di far
scadere e scomparire l’uomo, la formula opposta, terribile e fascinosa, del privilegio dei
pochi! Come ultima indicazione dell’altra strada apparve Napoleone, l’uomo più singolare e
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più tardivamente apparso che mai sia esistito, e con lui lincarnazione del problema dell’ideale
aristocratico in sé – si faccia bene attenzione a che tipo di problema sia mai questo:
Napoleone, questa sintesi di non-uomo e di super uomo…