Page 42 - Nietzsche - Genealogia della morale
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vendetta, gli oppressi, gli offesi, gli afflitti, si dicono: «Fateci essere diversi dai malvagi, cioè
buoni! e buono è colui il quale non violenta, non ferisce nessuno, non attacca, non fa
rappresaglie, rimettere la vendetta a Dio che, come noi, si tiene nascosto, che evita ogni male,
e inoltre non esige molto dalla vita, simile a noi pazienti, umili, giusti», questo non significa,
se lo si considera freddamente e senza prevenzioni, altro che: «Ecco, noi deboli siamo proprio
deboli: è bene che non si faccia nulla per cui non si possegga forza bastante»; ma questa
cruda realtà, questa accortezza di infimo rango, che anche gli insetti hanno (e infatti fingono di
essere morti, in caso di grave pericolo, per non dover fare niente di «troppo») grazie all’arte
falsaria e alla capacità di rinnegare se stessi propria dell’impotenza, si è rivestita degli abiti
sontuosi della virtù che rinuncia, è muta, attende, come se anche la debolezza del debole, cioè
la sua essenza, il suo agire, tutta la sua unica, inevitabile, non redimibile realtà, fosse una
prestazione volontaria, qualcosa di voluto, di scelto, un’azione, un merito. Per questa specie
di uomini credere in un soggetto «indifferente», libero di scegliere è una necessità, derivata
dall’istinto di conservazione, di autoaffermazione, in cui ogni menzogna è solita santificarsi. Il
soggetto (ovvero, per dirla più popolarmente, l’anima) è stato forse sino ad oggi sulla terra il
miglior articolo di fede, perché ha permesso alla maggioranza dei mortali, dei deboli, degli
oppressi di ogni tipo, quella sublime mistificazione di sé che interpreta anche la debolezza
come libertà, il suo essere-così-e-così come merito.
14.
– Qualcuno vuole forse sondare un po’ il mistero delle modalità con cui sulla terra si
fabbricano gli ideali? Chi ne ha il coraggio?… Avanti! Ecco, questa buia officina si apre al
nostro sguardo. Aspettate ancora solo un attimo, signor Pettegolo e Spericolato: il vostro
occhio dovrà prima abituarsi a questa luce falsa e oscillante… Così! Basta! Adesso parlate
pure! Che cosa succede là sotto? Dite quello che volete, uomo dalla più pericolosa delle
curiosità – adesso sarò io ad ascoltare, – – «Non vedo niente, ma in compenso odo molto
meglio. Da ogni angolo e da ogni anfratto viene tutto un sommesso, sospettoso e maligno
parlottio, un generale sussurrio. Mi sembra che tutti mentano, ogni suono sembra invischiato in
una zuccherosa dolcezza. La debolezza sarà fatta passare per merito, è fuor di dubbio – è
proprio come avete detto voi – Avanti! – «E l’impotenza aliena da sentimenti di rivincita, sarà
fatta passare per “bontà”: la timorosa viltà per “umiliazione”, la sottomissione di fronte a chi
si odia per “obbedienza” (cioè a qualcuno che, essi dicono, ordina questa sottomissione – lo
chiamano Dio). Quanto di inoffensivo c’è nel debole, la viltà stessa di cui è ricco, il suo
starsene alla porta, il suo inevitabile dover attendere, qui si fa un buon nome, è “pazienza”,
anzi è la virtù stessa; il non-potersi-vendicare diventa non-volersi- vendicare, forse
addirittura perdono (“poiché essi non sanno quello che fanno – noi solo sappiamo quello che
essi fanno!”). Parlano anche di “amare i propri nemici” e sudano parlandone.» – Avanti! –
«Non c’è dubbio, tutti questi falsari che parlottano nei loro anfratti sono dei miserabili, anche
se se ne stanno accucciati insieme al caldo – eppure mi dicono che la loro miseria è un segno
che Dio li ha scelti e segnati, che si frustano i cani che amiamo di più; e che forse questa
miseria è una preparazione, una prova, una scuola, e forse anche qualcosa di più – qualcosa
che un giorno verrà ricompensata con enormi interessi in oro, anzi in felicità. E questa la
chiamano “beatitudine”. – Avanti! – «Adesso mi lasciano intendere che essi non sono solo