Page 38 - Nietzsche - Genealogia della morale
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necessariamente alla felicità (da cui εὖ πράττειν) – tutto ciò in netto contrasto con la «felicità»
      a livello degli impotenti, degli oppressi, dei piagati da sentimenti ostili e velenosi, ai quali
      essa appare sostanzialmente come narcosi, ottundimento, calma, pace, «sabbath», distensione
      dell’animo  e  rilasciamento  muscolare,  in  breve  come  qualcosa  di  passivo.  Mentre  l’uomo
      aristocratico vive se stesso con fiducia e chiarezza (γενναῖος, «di nobile nascita» sottolinea la
      nuance «onesto» e anche «ingenuo»), l’uomo del ressentiment non è né onesto, né ingenuo, né
      vero con se stesso. La sua anima è strabica, il suo spirito ama i nascondigli, le vie oblique, le

      scappatoie, tutto ciò che è nascosto lo affascina come fosse il suo mondo, la sua sicurezza, la
      sua  consolazione,  è  un  esperto  in  fatto  di  silenzio,  di  memoria,  di  attesa,  di  provvisoria
      diminuzione  di  sé,  e  di  umiliazione.  Una  razza  di  tali  uomini  del  ressentiment  finirà
      necessariamente  per  essere  più  avveduta  di  qualsiasi  razza  aristocratica,  e  onorerà
      l’avvedutezza  in  tutt’altro  modo,  cioè  come  condizionamento  esistenziale  di  primo  grado,
      mentre l’avvedutezza, negli uomini nobili, ha spesso un certo squisito sapore di lusso e di

      raffinatezza – infatti essa non è assolutamente, in questo caso, crisi essenziale come la perfetta
      e  sicura  funzionalità  degli  istinti  normativi  inconsci,  o  come  addirittura  una  specie  di
      sconsideratezza, quale lo slanciarsi con coraggio sia contro il pericolo che contro il nemico, o
      quelle  esaltate  esplosioni  improvvise  di  vita,  di  amore,  di  venerazione,  di  gratitudine  e  di
      vendetta,  in  cui  le  anime  nobili  hanno  in  ogni  epoca  riconosciuto  se  stesse.  Lo  stesso
      ressentiment dell’uomo nobile, quando si manifesta in lui, arriva al massimo e si esaurisce
      infatti  in  una  reazione  immediata  e  quindi  non  intossica:  d’altra  parte,  in  molti  casi  non

      compare affatto, mentre in tutti i deboli e in tutti gli impotenti esso è inevitabile. Non poter
      prendere  a  lungo  sul  serio  i  propri  nemici,  le  proprie  sventure  e  nemmeno  le  proprie
      malefatte,  è  tipico  di  nature  forti,  complete,  dotate  di  un’eccedenza  di  forza  plastica,
      imitatrice,  apportatrice  di  salute  come  d’oblio  (un  esempio  notevole,  tratto  dall’epoca
      moderna, è Mirabeau, del tutto privo di memoria per gli insulti e le bassezze che aveva dovuto
      sopportare e che non poteva perdonare per il semplice fatto che aveva dimenticato). Un uomo

      simile con uno scossone si scuote di dosso molti rettili che sulla persona di altri si sarebbero
      scavati una tana; solo in questo caso anche il «vero amore per i propri nemici» è possibile,
      ammesso  che  esso  sia  comunque  possibile  in  terra.  Quanto  rispetto  per  i  propri  nemici  ha
      infatti un uomo nobile! e un simile rispetto è già un ponte verso l’amore… Egli vuole il suo
      nemico per sé, come suo segno distintivo, non sopporta alcun altro nemico che abbia in sé
      qualcosa  di  spregevole,  e  non  invece  moltissimo  cui  rendere  onore!  Pensiamo  invece  «al
      nemico», come lo concepisce l’uomo del ressentiment – e avremo di fronte proprio la sua

      vera  azione,  la  sua  creazione:  infatti  egli  concepisce  «il  nemico  cattivo»,  «il  cattivo»  e
      precisamente come concetto di base, dal quale deduce come sua copia e riscontro anche un
      «buono» – se stesso!…

         11.
         Tutto il contrario di quello che accade per gli aristocratici, che concepiscono il concetto di

      base «buono» prima e spontaneamente, partendo cioè da se stessi, e solo dopo si creano una
      immagine  di  «cattivo»!  Questo  «cattivo»  di  nobile  origine  e  quel  «malvagio»  uscito  dal
      crogiuolo dell’odio insaziabile – il primo una creazione posteriore, qualcosa di secondario,
      una  colorazione  complementare,  il  secondo,  invece  l’originale,  l’inizio,  l’azione  autentica
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