Page 40 - Nietzsche - Genealogia della morale
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progenitori; la seconda, quella del bronzo, così come quel mondo appariva ai discendenti
degli oppressi, dei depredati, maltrattati, deportati e venduti: un’età di bronzo, come si è detto,
dura, fredda, crudele, priva di sentimenti e di coscienza, che tutto demolisce e tutto sommerge
nel sangue. Concesso che sia vero, ciò che ora si ritiene sia la «verità», e cioè che il senso di
ogni civiltà sia quello di riuscire ad allevare la bestia feroce «uomo» trasformandola in un
animale mansueto e civilizzato, un animale domestico, bisognerebbe considerare, senza alcun
dubbio, tutti quegli istinti di reazione e di risentimento, col cui aiuto le stirpi aristocratiche
sono state infine messe alla gogna e sopraffatte, con tutti i loro ideali, come autentici strumenti
di civiltà, con la qual cosa non si sarebbe ancora detto, d’altra parte, che i loro portatori
rappresentassero automaticamente la civiltà stessa. Piuttosto il contrario sarebbe non soltanto
probabile – anzi! oggi è evidente! I portatori degli istinti compressi e cupidi di rivincita, i
discendenti di tutte le schiavitù europee e non europee e in special modo di tutta la
popolazione pre-ariana – essi rappresentano il regresso della umanità. Questi «strumenti di
civiltà» sono la vergogna dell’essere umano e sono piuttosto un sospetto, un’argomentazione
contro la «civiltà» in genere! Si potrà anche avere tutto il diritto di non liberarsi dalla paura
davanti alla bionda bestia annidata nel fondo di tutte le razze aristocratiche e di stare in
guardia: ma chi non preferirebbe cento volte di più il terrore, se esso fosse unito
all’ammirazione che non la mancanza di esso, unita all’impossibilità di liberarsi dallo
spettacolo nauseante di esseri abortiti, immiseriti, squallidi e intossicati? Non è forse questo il
nostro destino fatale? Che cosa provoca, oggi, il nostro disgusto per l’«uomo»? – perché è
fuor di dubbio che noi soffriamo dell’uomo. Non certo il terrore, piuttosto invece il fatto che
non abbiamo più nulla da temere nell’uomo; che la massa verminosa «uomo» è in primo piano
col suo brulichio; che l’«uomo mansueto», insanabilmente mediocre e scialbo, ha già imparato
a sentirsi come fine ultimo e coronamento, come significato della storia, cioè «uomo
superiore» – che anzi ha anche un certo diritto di ritenersi tale, perché sente se stesso come
distante dal cumulo di esseri deformi, malsani, snervati, sfatti, che cominciano ora a appestare
l’Europa col loro lezzo; come qualcosa che perlomeno è relativamente ben riuscita, per lo
meno ancora capace di vivere e di dire sì alla vita…
12.
E qui soffoco un sospiro e una ultima speranza. Quale è per me in particolare, la cosa
intollerabile per eccellenza? La cosa che non riesco a dominare da solo, che mi mozza il fiato
e mi consuma? Aria cattiva! Aria cattiva! La possibile vicinanza di qualcosa di deforme, il
dover sentire il lezzo delle interiora di un’anima deforme!… Del resto, che cosa non
sopportiamo di miseria, privazioni, intemperie, malattie, fatiche e solitudine? In fondo
riusciamo a risolvere tutto il resto, fatti come siamo per un’esistenza sotterranea e di lotta; si
ritorna sempre a vedere la luce, si riesce sempre a vivere ancora un’ora splendente di vittoria
– e allora eccoci, come siamo nati, indistruttibili, tesi, pronti al nuovo, all’ancora più difficile,
più lontano, come un arco teso al massimo dal massimo della tribolazione. – Ma di tempo in
tempo mi sia concesso – posto che esistano divine protettrici, al di là del bene e del male –
uno sguardo, mi sia concesso un solo sguardo su qualcosa di perfetto, di compiuto, felice,
potente, trionfante, tale ancora da incutere qualche timore! Su un uomo, che giustifichi l’uomo
su un felice accidente, complementare e salvifico dell’uomo, in grazia del quale si possa