Page 47 - Nietzsche - Genealogia della morale
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SAGGIO SECONDO

      «Colpa», «Cattiva coscienza» e simili




         1.
         Allevare  un  animale  che  possa  fare  delle  promesse  –  non  è  proprio  questo  il  compito

      paradossale che la natura si è imposto nei confronti dell’uomo? Non è questo, in realtà, il vero
      problema dell’uomo?… Che questo problema sia stato risolto sino a un grado elevato, dovrà
      sembrare tanto più sorprendente a chi sa misurare appieno la forza opposta e contraria, cioè
      quella del dimenticare. Dimenticare non è solo vis inertiae, come credono i superficiali, essa
      è molto di più una forza frenante, attiva e positiva nel senso più preciso del termine, forza cui
      si deve il fatto che tutto ciò di cui noi facciamo esperienza, apprendiamo e accogliamo in noi,

      nello stato di digestione (potremmo chiamarlo «assorbimento intellettuale») arriva tanto poco
      alla nostra coscienza, quanto tutto il molteplice processo con cui si compie la nostra nutrizione
      corporale, il cosiddetto processo di «assorbimento». Chiudere ogni tanto le porte e le finestre
      della coscienza, non farsi molestare dal fracasso e dalla lotta con cui il mondo occulto degli
      organi al nostro servizio manifesta la sua collaborazione e opposizione; un po’ di tranquillità,
      un po’ di tabula rasa della coscienza, per fare ancora spazio a qualcosa di nuovo, soprattutto
      a  funzioni  e  funzionari  più  nobili,  per  governare,  prevedere,  ordinare  (dato  che  il  nostro

      organismo  ha  una  struttura  oligarchica)  –  questo  è  il  vantaggio  –  come  si  è  detto  –  di  una
      dimenticanza  attiva,  simile  a  un  guardaportone,  un  custode  dell’ordine  spirituale,  della
      tranquillità, dell’etichetta: per cui si dovrà immediatamente stabilire in quale misura nessuna
      felicità,  nessuna  serenità,  nessuna  speranza,  nessun  orgoglio,  nessun  presente  sia  possibile
      senza smemoratezza. L’uomo in cui questo apparato frenante viene danneggiato e costretto a

      funzionare irregolarmente, può essere paragonato (e non solo paragonato) a un dispeptico, non
      riesce a «concludere» nulla… E proprio questo animale necessariamente smemorato, in cui la
      mancanza di memoria è una forza, una forma di florida salute, si è costruito, con l’educazione,
      una facoltà opposta, una memoria, col cui aiuto può interrompere, in certi casi, il processo del
      dimenticare – nei casi, cioè, in cui si debba far promesse: non solo, quindi, un non potersi
                                                                     ̓
      liberare delle impressioni ormai stampate, non solo lindigestione di una parola già impegnata
      e di cui non si riesce a venire a capo, ma un non voler rendersi libero, un volere iterato e
      continuo del già voluto, una vera e propria memoria del volere: cosicché tra l’originario «io

      voglio»,  «io  farò»  e  il  vero  e  proprio  scaricarsi  della  volontà,  il  suo  atto,  può  introdursi
      facilmente un mondo di cose nuove e diverse, di circostanze, e anche di atti della volontà,
      senza  far  saltare  questa  lunga  catena  del  volere.  Ma  quante  cose  presuppone  tutto  ciò!  Per
      poter  anticipatamente  disporre  così  del  futuro,  l’uomo  deve  aver  bene  imparato  a  separare
      l’avvenimento necessario da quello causale, a pensare con cognizione di causa, a vedere e a

      prevedere le cose lontane come se fossero presenti, a stabilire con certezza che cosa sia il fine
      e il mezzo e in generale a saper calcolare, a fare previsioni – per far tutto ciò, quanto l’uomo
      stesso deve già essere diventato prevedibile, regolare, necessario, anche a se stesso per la
      sua  propria  rappresentazione,  per  potersi  finalmente  fare  garante  di  se  stesso  come  futuro,
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