Page 89 - Nietzsche - Genealogia della morale
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tipo di deduzione è propria di ogni malato, e anzi, quanto più resta loro nascosta la vera causa
dello star male, quella fisiologica, ( – essa può risiedere in una affezione del nervus
sympathicus o in una secrezione eccessiva della vescica biliare, o nella mancanza, nel sangue,
di solfati e fosfati, o in uno stato spastico del basso ventre che ostacola la circolazione del
sangue o in una degenerazione ovarica e simili). Tutti coloro che soffrono sono terribilmente
solleciti e ricchi di inventiva nel trovare pretesti per passioni dolorose; godono già del loro
sospetto, del rimuginare su cattiverie e danni apparenti, frugano nei visceri del loro passato e
del loro presente, alla ricerca di storie oscure e dubbie, dove possano liberamente crogiolarsi
in un sospetto dilaniante e stordirsi al veleno della loro stessa perfidia – mettono a nudo le
ferite più antiche, si dissanguano aprendo cicatrici ormai chiuse; trasformano in malfattori
l’amico, la moglie, il figlio e tutti quanti sono loro più vicini. «Soffro: qualcuno deve averne
colpa» – questo pensa ogni pecora malata. Ma il suo pastore, il sacerdote asceta, le dice: «È
vero, pecora mia! qualcuno ne ha colpa: ma questo qualcuno sei tu stessa, tu e solo tu sei la
colpevole – tu e solo tu sei colpevole di te stessa!»... – Questo è audace quanto basta e falso
quanto basta: ma per lo meno così si raggiunge una cosa, così, come si è detto, la rotta del
ressentiment è... mutata.
16.
Ormai si indovina. quello che, a mio giudizio, l’istinto terapeutico della vita, ha per lo
meno tentato per mezzo del sacerdote ascetico, e lo scopo per il quale si è dovuto servire di
una temporanea tirannia di concetti tanto paradossali e parologici come «colpa», «peccato»,
«peccaminosità», «depravazione», «dannazione»: per rendere cioè, parzialmente innocui i
malati, per costringere gli inguaribili all’autoeliminazione, per indirizzare i malati non gravi
unicamente contro se stessi, retroguidando il loro ressentiment («una cosa sola è necessaria»)
e per sfruttare così gli istinti malvagi di ogni sofferente in vista dell’autodisciplina,
dell’autocontrollo, dell’autosuperamento. È ovvio che non si può trattare assolutamente, con
una «medicazione» di questo tipo, una semplice medicazione affettiva, di un’autentica
guarigione del malato in senso fisiologico; non si potrebbe nemmeno affermare che qui
l’istinto della vita abbia mirato intenzionalmente alla guarigione. da una parte, una specie di
concentrazione e di organizzazione dei malati (il termine più popolare per definirla è
«Chiesa»), dall’altra, una specie di momentanea messa in salvo di chi è più sano, di chi è più
compiutamente strutturato, il conseguente aprirsi di un abisso tra sano e malato – questo per
lungo tempo, fu tutto. E fu molto! Moltissimo!... [In questa trattazione, come si vede, parto da
un presupposto che, in considerazione dei lettori di cui ho bisogno, non sono venuto a provare
preventivamente – e cioè che la «peccaminosità» dell’uomo non sia un dato di fatto, ma
piuttosto solo l’interpretazione di un dato di fatto, cioè di un malumore fisiologico – visto
quest’ultimo in una prospettiva morale-religiosa che non ha più niente di vincolante per noi. –
Col fatto che qualcuno si sente «colpevole», «peccaminoso», non viene ancora dimostrato che
egli abbia ragione di sentirsi tale; allo stesso modo con cui qualcuno non è sano
semplicemente perché tale si sente. Si ricordino i famosi processi delle streghe: allora i
giudici più oculati e clementi non nutrivano alcun dubbio di trovarsi in presenza di una colpa;
le «streghe» stesse non ne dubitavano – eppure la colpa non esisteva! – Per esprimere in
forma più ampia questo presupposto: lo stesso «dolore dell’anima» non ha per me alcun