Page 13 - Nietzsche - Genealogia della morale
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dall’uomo libero e randagio, regredendo, si rivolgessero contro l’uomo stesso.
Genealogia della coscienza
Qui Nietzsche ha davvero anticipato Freud. Ha scoperto la proteiforme resistenza degli
istinti, la loro refrattarietà a qualsiasi addomesticamento o neutralizzazione. E ha scoperto
che, se non “liberati” secondo vie naturali, gli istinti possono esercitare un’azione ancor
più distruttiva e negativa di quella attribuita loro dalla Morale. Le conclusioni di Nietzsche
intorno a tale azione appaiono anzi ancor più drammatiche di quelle cui perverrà un giorno
Freud. Nietzsche sembra infatti escludere che gli istinti repressi possano essere placati o
sfogati mediante il meccanismo della sublimazione. È vero, invece, che la repressione e
l’interiorizzazione compiranno guasti di incalcolabile portata. Altri (Strindberg su tutti) ha
rappresentato il tormento degli istinti in rovinosa rivolta contro i divieti e i tabù della
Ragione e della Coscienza. Nessuno, a fine Ottocento, ha detto più lucidamente di Nietzsche
la «genealogia» di questo tormento. Nessuno, soprattutto, ha avuto il suo coraggio di
connettere questo inferno alla (pretesa) innocenza di certi concetti e figure morali. Il
pentimento; il rimorso; la coscienza. Quante pagine della letteratura d’occidente sono
piene della lacrimevole retorica della «coscienza-che-si pente»? Nietzsche, nuovamente
senza molti antecedenti (Epicuro, La Mettrie), guarda in faccia la realtà dice le cose come
stanno, chiama determinati fenomeni psico-«morali» col nome che meritano. No, la
coscienza (tanto meno la «cattiva coscienza») non è il sublime strumento del riscatto
felicitante: è la sordida arma di un dolore sterile e insensato. È «la più grave e oscura
malattia». È «l’istinto di libertà represso, soffocato, incarcerato nell’intimo, che finisce per
non potersi scaricare e sfrenare altro che contro se stesso».
L’inimicizia, la crudeltà, il piacere della persecuzione, dell’attacco, delle mutazioni, della
distruzione – tutto quello che si rivolta contro i possessori di tali istinti: questa è l’origine
della «cattiva coscienza». L’uomo che in mancanza di nemici esterni e resistenze, costretto
nelle oppressive strettoie e regolarità di costumi, dilaniava impaziente se stesso, si
perseguitava, si torturava, si punzecchiava, si maltrattava, questo animale che si butta contro le
sbarre della sua gabbia ferendosi, che vogliono «domare», questo essere privato di qualcosa,
divorato dalla nostalgia del deserto, che ha dovuto fare di sé un’avventura, una camera di
tortura, una giungla malsicura e piena di pericoli – questo dissennato, questo prigioniero
disperato e sitibondo di desiderio, diventò l’inventore della «cattiva coscienza».
L’inganno della «contronatura»
Il tono complessivo della Dissertazione di GM che s’è prescelta a campione di lettura è
di cupa disperazione, senza vie d’uscita. La Morale si configura come l’errore di partenza
(da qualcuno sollecitato, dagli altri subìto), come la condanna conseguente ad un peccato
primordiale. Il peccato è stato, lo si è visto, l’abbandono suicida della natura. Nietzsche