Page 11 - Nietzsche - Genealogia della morale
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già la meccanica dei nobili concetti di cui son pieni i trattati morali, bensì il principio che
ogni danno deve essere risarcito con una proporzionale misura di sofferenza. Su questo
principio, non su altro, i moralisti avrebbero dovuto concentrare i loro sforzi ermeneutici:
«da dove ha derivato la sua forza questa antichissima idea, dalle radici profondissime che
forse oggi non è più possibile estirpare, l’idea di un’equivalenza di danno e dolore?». Qui,
ancora una volta, un’esegesi corretta approderebbe alla matrice contrattuale, economico-
giuridica delle categorie morali. Che è poi la conclusione complessiva cui perviene tutto il
discorso nietzscheano: «In questa sfera, nel diritto delle obbligazioni, dunque, ha il suo
primo focolare il mondo dei concetti morali di “colpa”, “coscienza”, “sacralità del
dovere”».
Il significato di questa conclusione, pur non tutto esplicito, è chiaro. Proiezione diretta
della sfera economica, la Morale tende a perpetuare e a legittimare la disuguaglianza, la
gerarchia, la violenza che regnano nei rapporti umani. E tende anche ad installare nella
coscienza degli uomini il senso dell’esistenza (della giusta esistenza) d’un complesso
meccanismo di divieti e di reati, di giudizi e di condanne, di ammende e di pene. Tutto ciò
serve, in ultima analisi, a rafforzare il Dominio: a fornire al Potere i mezzi per meglio
opprimere gli uomini. Certo Nietzsche, l’anti-storicista Nietzsche, è profondamente
convinto della storicità della Morale. Fino a delineare una precisa ipotesi sulla decadenza
del sistema colpa-pena-punizione: «Una comunità, acquista maggior potenza, non prende
più tanto sul serio le trasgressioni del singolo, perché esse non possono più essere
considerate, come per l’innanzi, così pericolose e eversive per l’esistenza del tutto». Resta
da chiedersi come potrà sfruttare questa nuova situazione, apparentemente meno
repressiva, un soggetto ormai schiacciato dalla comunità medesima. Tanto più che,
parallelamente all’allentarsi della repressione più strettamente etico-giuridica, è cresciuta
la capacità della Morale di condizionare e asservire in altro modo l’individuo.
La morale come «de-naturamento» dell’uomo
L’obiettivo del sistema di dominio (la «civiltà») che crea e utilizza la Morale è ormai
palese. Si tratta di possedere l’uomo. Correlativamente, il compito della Morale consiste in
primo luogo nel «conformare» opportunamente l’essere umano. Consiste nello spegnerne
tutte le capacità reattive originali. Consiste, insomma, nell’indebolirlo. La strategia
impiegata all’uopo sta in quello che si vorrebbe definire il progressivo “de-naturamento”
dell’uomo, articolato (come vedremo tra un istante) nell’instradamento di questi verso
idealismi illusori, nell’anchilosamento dei suoi istinti natural-vitali, nello introiettamento
di valori anti-mondani frustranti e repressivi. Diciamo subito che il tema del “de-
naturamento” dell’uomo e della connessa antinomia Natura-Civiltà (Morale) ha suscitato
molte discussioni. Si è detto che il concetto di Natura (umana) in Nietzsche è generico e
ambiguo; che non poteva più, alla fine dell’Ottocento, essere assunto come plausibile
antitesi originaria e incontaminata rispetto al polo Civiltà-Società- Morale; che l’Uomo-
animale «naturalmente» forte-sano-vitale è figura retorica e di maniera: tanto quanto il