Page 14 - Nietzsche - Genealogia della morale
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sospetta che sia stato consumato, dall’uomo, in un momento di difficoltà: forse allorché la
libera espressione degli istinti incontrò un ostacolo. Da un “piccolo” incidente, disastrose
conseguenze: «Oh bestia uomo, com’è folle e triste! Quali idee le vengono in mente, e quale
contronatura, quali parossismi di follia, quale bestialità dell’idea esplodono non appena
viene frenata nel suo essere bestia dell’azione!...». È infatti proprio nella falla apertasi un
istante che si è incuneata la mitologia, l’allucinazione dell’invisibile. Subito l’uomo ha
fantasticato un “antimondo” – fatto di parole, immagini, concetti caricati di «valore».
Subito il regno dell’ideale, evocato dal nulla ma capace di diventare tutto, ha fatto valere i
suoi diritti – «ma voi vi siete mai sufficientemente chiesti quanto è costata cara sulla terra
l’istituzione di ogni ideale? Quanta realtà dovette perciò essere calunniata e
misconosciuta, quanto menzogna santificata, quante coscienze turbate, quanta “divinità”
sacrificata ogni volta?»34. Messaggera e agente di questo regno, la Morale ha compiuto – lo
si è intravisto – un enorme lavoro. Ha cancellato evidenze millenarie. Ha demolito desideri
e appetiti elementari. Vi ha sostituito concetti e valori astratti, eppure apparentemente
(ingannevolmente) tratti dai più normali rapporti empiricomateriali tra gli uomini. Su quei
concetti e valori ha eretto deontologie sempre più complesse e innaturali. L’essere umano si
è trovato invischiato in un sistema di presunzioni e di divieti, di colpe (inesistenti) e di
punizioni (reali), di cui ha perso il senso e la gestione. Unico tra gli animali, l’uomo ha
voluto separarsi «dal suo passato animale». Unico, ha voluto modificare radicalmente i
suoi tratti essenziali: fino a diventare «qualcosa di [...] inaudito, enigmatico, greve di
contraddizioni». Di questa bestia acculturata, di questo essere indebolito di questa
creatura distrutta da mostri interiori non si sa più che fare. È qui che si radica e giustifica
il particolare anti-umanismo di Nietzsche. «Siamo stanchi dell’uomo»: stanchi, cioè di
quest’uomo. Di quest’uomo, che oltre a tradire la natura e a rinunciare alla propria felicità
non ha saputo neppure costruire una civiltà appagante, una società senza sopraffazioni,
una cultura senza menzogna.
L’ascesi come dominio sadico
Si è detto all’inizio che una delle due varianti dell’“uso” della Morale come Dominio è
l’indebolimento, la cattura del forte (o dell’apparente tale) da parte del debole. A questa
variante, indubbiamente meno nota dell’altra, è dedicata buona parte della terza
Dissertazione di GM. E son pagine di tale acutezza e modernità, che un pur breve indugio
su di esse è necessario. La “lettera” di questa Dissertazione non deve trarre in inganno.
Nietzsche parla prevalentemente del comportamento dell’«asceta», e (ancor, più) del
«prete» in quanto asceta. Ma allude palesemente a una situazione umana più generale:
quella appunto della strategia dei deboli; e a una problematica di più ampio respiro: il
“senso” della «ascesi», e perché l’ascesi ha vinto. Che cos’è, almeno in prima istanza,
l’ascesi per Nietzsche? Non è solo il comportamento di chi rifiuta la natura e la vita a se
medesimo. È anche il comportamento di chi cerca di fare rifiutare la prima e la seconda
anche agli altri. È, su un piano più teorico, il complesso dispositivo messo in opera
dall’«idealismo», per distaccare l’umanità dal mondo; per svuotare, indebolire l’uomo