Page 12 - Nietzsche - Genealogia della morale
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mito di una sua felicità realizzabile solo lontano dal polo di cui sopra. Tutto vero – forse.
Resta il fatto che, pur nel suo consueto modo ellittico e unilaterale, Nietzsche ha riproposto
un discorso non isolato, non banale: oggettivamente connesso con un filone della cultura
europea di cui non è possibile (né è il caso) di sbarazzarsi troppo rapidamente. Un
discorso, anche, destinato ad assumere un rilievo centrale nel pensiero del Novecento. Non
occorre infatti evocate solo Freud e Marcuse per notare il ruolo attribuito al rapporto
natura individuale (e sua felicità) – cultura sociale (e suo ordine) da parte della riflessione
contemporanea. La Morale, in sintesi, tradisce l’uomo. Perché lo spinge verso obiettivi
inappaganti e mistificanti. Perché reprime pulsioni ineludibili e “giuste”. Perché non tiene
conto (o forse ne tiene fin troppo bene) delle conseguenze di tale repressione. Sono tre
“tradimenti” qui di necessità riassunti assai schematicamente, ma che Nietzsche ha
esaminato con grande attenzione. Primo tradimento. L’uomo viene avviato verso il
traguardo celeste degli ideali e dei Valori. Egli «cammina verso l’angelo». Non si accorge
di tendere, così facendo, verso una figura che non esiste e (ancor peggio) di abbandonare in
tal modo il proprio spazio, la propria identità, il proprio essere, cominciando così a
indebolirsi. Secondo tradimento. La Morale, musa ingannevole, persuade gradualmente
l’uomo che i suoi istinti sono «brutti». Che se ne deve «vergognare». Qui, di nuovo, senza
parere, Nietzsche segna un’altra tappa decisiva del pensiero occidentale. La «vergogna»,
da Aristotele a Vico, era stata considerata la sorgente della conformazione sociale e dei
(successivi) Buoni Sentimenti. Nietzsche accetta l’assunto ma ne rovescia il segno. Madre
della società, la vergogna è veleno per l’individuo. Vergognoso di sé come istintualità e
«natura», l’uomo si fa imprigionare «nella magia della pace». Comincia a poco a poco a
dimenticare, o a rispingere i propri impulsi, e la loro lezione quotidiana. Simile agli
animali acquatici dolorosamente trasformati in terrestri, egli si scopre subito pesante,
«incapace». Nel «mondo nuovo e sconosciuto», ove regnano non gli istinti della corporeità
ma le regole della ragione, gli esseri umani son «ridotti, poveri infelici, a pensare, a
dedurre, a calcolare, a combinare cause e effetti». Sono «ridotti» insomma, a contare solo
sulla «coscienza»: il «più miserevole e ingannevole dei loro organi». Non è questo un
ulteriore grave indebolimento? Terzo tradimento. Tutto ciò non basta. Il peggio – la
conseguenza più nefasta – deve ancora venire. Ed è questa: che gli istinti, perseguitati e
oltraggiati dalla Morale, si ribellano. Bloccare, infatti, non vuol dire estirpare. Impediti nel
loro cammino naturale, gli istinti appaiono a Nietzsche una mandria selvaggia che cerca ad
ogni costo il proprio sfogo. Il mondo del “fuori”, controllato dalla Morale e dalla Civiltà, è
ormai chiuso? La mandria si volgerà al “dentro”, insediandovisi saldamente. Il brano che
segue è tutto da leggere:
Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono all’interno – questo è quello
che io chiamo interiorizzazione – dell’uomo: solo così si sviluppa nell’uomo quella cosa che
più tardi riceverà il nome di «anima». Tutto il mondo interiore, agli inizi sottile come se fosse
teso tra due strati epiteliali, si è espanso e spalancato, ha guadagnato profondità, larghezza,
altezza, tanto quanto le possibilità dell’uomo di scaricarsi all’esterno sono state impedite.
Quei bastioni terribili con cui l’organizzazione statale si proteggeva contro gli antichi istinti
della libertà – le pene sono latte soprattutto di questi bastioni – fecero sì che tutti quegli istinti