Page 8 - Nietzsche - Genealogia della morale
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alla problematica morale esperito in GM. Non esiteremo a definirlo di tipo antropologico-
sociale, nel senso più largo dell’espressione. Quasi in esordio della sua opera Nietzsche
compie un’osservazione forse non inedita, ma ricca di implicazioni decisive. I più
prestigiosi e solenni principi/valori «positivi», ben lungi dal derivare da messaggi celesti o
dalla riflessione “pura” dello spirito, derivano da una pratica umana con precise finalità
sociali: «sono stati gli stessi “buoni”, cioè i nobili, i potenti, gli uomini di ceto superiore e
di sentimenti elevati a sentire e definire se stessi e le loro azioni come buoni, cioè di primo
ordine, e in antitesi a tutto ciò che è volgare, di sentimenti volgari, comune e plebeo». Per
rafforzare e precisare la sua constatazione di partenza, Nietzsche non esita poi a utilizzale
le proprie competenze filologiche. Scopre così che in tante lingue “aristocratico”,
“nobile”, nel senso di condizione sociale, sono i concetti fondamentali da cui discende
necessariamente il concetto di “buono”... Scopre sul concetto (morale) di «puro» dati che
lo fanno risalire alla funzione (sociale) della casta sacerdotale e ai suoi criteri di giudizio.
Contrappone, a quella e a questi, i «giudizi di valore cavalleresco-aristocratici»: e ancora
una volta nota quanto siano connessi non già con principi universali astratti, bensì con un
preciso modello di uomo (quello cavalleresco), da proporre e imporre alle altre classi onde
funzioni come nuovo ed utile strumento di potere.
Morale come dominio psicologico
La conclusione – che è poi l’incipit di GM – è precisa. Che cos’è in sostanza la Morale?
È essenzialmente un dispositivo di difesa e (soprattutto) di offesa. È un meccanismo con cui
si è cercato (con successo) di facilitare il dominio dell’uomo sull’uomo: nelle due varianti
dell’annichilamento del «debole» da parte del «forte» e
dell’indebolimento/condizionamento del forte da parte del debole. Interpretare
correttamente la Morale non coincide né col prendere per buoni i suoi enunciati, né col
liquidarla sommariamente. Si tratta invece di analizzare le funzioni psichiche di cui essa si
avvale, e di prender coscienza dei “luoghi” in cui si situa e degli exempla da cui trae
ispirazione per la sua opera. La prima delle due analisi, ispirata e motivata da una ben
precisa immagine dell’uomo, è di particolare acutezza. Strumento di dominio (di- e per-
qualsiasi dominio), la Morale è per Nietzsche adibita a raggiungere i recessi più profondi e
«liberi» dell’individuo. L’uomo infatti non è un animale dominabile con la mera
coercizione fisica. Egli pensa: il suo pensiero è una forza sfuggente e pericolosa. Per
questo chi intende possedere l’uomo deve penetrarlo fino al pensiero – manipolandovi
funzioni e categorie, introiettandovi determinati valori. E questo appunto è il compito
riservato alla Morale. ...Quali funzioni, quali categorie, quali valori? Nietzsche non
fornisce elenchi, ovviamente impossibili. Tutto dipende dalla situazione, dai rapporti tra
uomo e uomo, dagli obiettivi che ci si pongono. Ma su una funzione egli indugia: quella
della memoria. E l’indugio non è casuale. Quale che sia la situazione in cui un uomo
intende esercitare il potere su un altro uomo, la precondizione è che ci possa essere
ubbidienza. Di qui l’importanza (in qualche modo trascendentale) della memoria. Senza
memoria, niente ubbidienza. La non-memoria, l’oblio – aveva già scritto il giovane
Nietzsche nell’Inattuale II – è libertà, è lare spazio al nuovo. Si tratta allora, precisa il