Page 5 - Nietzsche - Genealogia della morale
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crudeli. Si veda la stessa riabilitazione della crudeltà, che non solo anticipa tante cose
della letteratura e del teatro contemporaneo, ma si presenta con una consapevolezza
antropologica singolarmente matura («Senza crudeltà non c’è festa: questo insegna la più
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remota, la più lunga storia dell’uomo») . E si veda il tema, gravido di tutto il Novecento
(psicologico-letterario) che conta, dell’ignoranza dell’io profondo: «chi siamo noi in realtà
[...]. Infatti necessariamente rimaniamo estranei a noi stessi, non ci capiamo, dobbiamo
scambiarci per altri, per noi vale per l’eternità la frase “ognuno è per se stesso la cosa più
lontana...”». Di particolare rilievo, su un altro piano, è il motivo dell’«interpretazione»,
l’insistenza nietzscheana sull’importanza di possedere e praticare un’adeguata «arte
dell’interpretare». Non solo perché sollecita a situare Nietzsche in rapporto all’indirizzo
«ermeneutico» del pensiero tra Otto e Novecento, ma anche perché invita a una lettura
«ragionata», non-immediata di GM. Già in Al di là del bene e del male Nietzsche aveva
messo in guardia i lettori: «Tutto ciò che è profondo ama la maschera [...]. Non dovrebbe
essere soprattutto l’antitesi il giusto travestimento con cui incede il pudore di un dio?». E
ancora: «Non si scrivono forse libri al preciso scopo di nascondere quel che si custodisce
dentro di sé? [...]. Ogni filosofia nasconde anche una filosofia; ogni opinione è anche un
nascondiglio, ogni parola è anche una maschera». Ora, il monito di Al di là del bene e del
male e l’invito di GM a interpretare non vanno trascurati. GM contiene infatti tutta una
serie di temi e di tesi che turbano profondamente anche le coscienze meno prudes. Alcuni
sembrano obiettivamente caduchi, e qualsiasi lettore serio probabilmente ne converrà. Altri
invece, di primo acchito assai urtanti (e talora ripugnanti), richiederebbero, per l’appunto,
un’ermeneutica: un’ermeneutica consapevole dei simboli, delle ellissi, dei paradossi di cui
Nietzsche troppo si compiaceva. Pensiamo a certi giudizi sulla violenza, alla “figura” della
«bestia bionda», alle infelici battute sugli ebrei (contraddette da tanti altri luoghi
nietzscheani) a certi sbeffeggiamenti dei «deboli», a certi perversi propos sui «forti». Altra
essendo qui e ora la nostra traccia di lettura, nelle pagine che seguono non svilupperemo
questa ermeneutica del testo nietzscheano. Ad essa si è del resto applicata la letteratura
critica intorno a GM, con risultati, nel complesso, validi. Meno valide appaiono semmai le
interpretazioni d’assieme dell’opera. Percorrendone le analisi più note, si resta colpiti per
un verso dalla genericità o dall’incompletezza, per l’altro dall’eccessivo “filosofismo” dei
discorsi che vi sono stati imbastiti sopra. Si ha come l’impressione che, per i motivi più
diversi, GM e la sua “lettera” siano stati presi, per così dire, poco sul serio. Nel senso che
troppo spesso si sono trascurate le tesi, i problemi effettivi del testo – e con essi, ancor più,
le procedure e le indicazioni relative all’indagine critica intorno all’uomo (che questo
resta, come sempre, il tema di fondo del pensiero nietzscheano) ivi contenute. Una
trascuranza, è da aggiungere, malamente compensata in certi casi da perigliosi discorsi
sulle intenzioni dette e non dette dell’Autore; sui fini palesi e occulti dell’Opera; sul
significato, presentato di solito in termini assai rarefatti e “speculativi”, della Dottrina.
Stando così le cose (né importa far nomi, giacché i libri sono noti e accessibili a chiunque),
converrà ripartire pedestremente dall’inizio. Per rivisitare – pur entro precisi limiti di
spazio – alcuni luoghi e nodi a nostro avviso decisivi di GM, secondo una linea
interpretativa che osiamo sperare convincente.