Page 7 - Nietzsche - Genealogia della morale
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dimostrate, quanto su interessi profondi, espressi (per meglio realizzare un loro
soddisfacimento legittimo) in un linguaggio diverso: quello, appunto, «morale». Di qui il
suo proposito di condurre una critica «genealogica» dei principi/valori morali. È certo un
peccato che di tale critica non venga mai data una definizione adeguata e rigorosa.
Nietzsche si limita a teorizzare la necessità di risalire all’«origine» (extra-morale) di certi
principi e di certe categorie. Si tratta di una teoria, o di un assunto, non inedito , che verrà
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peraltro articolato altrove, in modo più originale e pregnante, nel seguente programma di
riflessione e ricerca: «in quali condizioni l’uomo si era inventato quei giudizi di valore:
buono e cattivo? e che valore hanno essi stessi? Fino a oggi hanno ostacolato o promosso
la prosperità del genere umano? Sono segno di uno stato di necessità, di immiserimento, di
degenerazione della vita? O invece in essi si tradisce la pienezza, la forza, la volontà della
vita, il suo coraggio, la sua certezza, il suo futuro?». Nonostante questa relativa genericità,
è tuttavia singolare che vari studiosi abbiano interpretato il progetto genealogico di
Nietzsche come mera riduzione degli enunciati morali a pulsioni vitali. È vero infatti che
GM tende a ri(con)durre la Morale a qualcosa di “altro”. Ma questo “altro” non è
assolutamente il vitale. Lo «smascheramento» nietzscheano, e il relativo punto d’approdo,
hanno invece una latitudine molto più ampia. Una latitudine, che si vorrebbe qui definire
complessa tra una dimensione di tipo giuridico-sociale e una dimensione di tipo psico-
antropologico.
La genesi sociale della morale
Già in Al di là del bene e del male Nietzsche aveva parlato di due «classi» contrapposte,
quella dei «signori» e quella degli «schiavi», e delle loro relative morali. In GM il discorso
viene ripreso e sviluppato. La tesi ora implicitamente emergente è che, in un certo senso, la
Morale esiste in quanto esistono le due classi anzidette. O almeno, che i fondamentali
principi/ categorie morali, i fondamentali comportamenti e sistemi morali sono
intrinsecamente qualificati dall’essere sociale. Per un verso la morale è il prodotto del
«risentimento» e della strategia di autodifesa dei «deboli», degli «schiavi», del «gregge».
Per un altro, è il prodotto dell’interesse, della volontà di dominio dei «forti», dei «signori».
Le pagine dedicate all’analisi del ressentiment sono giustamente celebri. Nietzsche vi
sottolinea anzitutto il carattere passivo, eteronomo della morale degli «schiavi»: che «ha
sempre e innanzitutto bisogno, per nascere, di un mondo esterno antagonista; ha bisogno,
per servirci di termini psicologici, di impulsi esterni per potere comunque agire – la sua
azione fondamentalmente non è altro che reazione». Sul «debole» e la sua morale vi
sarebbe da discorrere a lungo: sia per riflettere adeguatamente sull’atteggiamento
nietzscheano, per certi aspetti non lineare e univoco, nei suoi confronti; sia per cogliere
una intuizione (quella dell’incapacità dei «risentiti» di elaborare principi morali e stili di
vita autonomi), che nel Novecento troverà singolari riprese, generalmente non dirette, in
talune analisi etno-sociali dell’«inferiorità» culturale degli oppressi. Ma ora preme
maggiormente soffermarsi sulla morale dei «forti», e più in generale sulla genesi dei
principi/valori «positivi». È qui, infatti, che meglio si percepisce il particolare approccio