Page 102 - Nietzsche - Genealogia della morale
P. 102

dell’intelletto, che finisce per vietarsi il no altrettanto severamente che il sì, quel voler restar

      fermi  di  fronte  all’effettuale,  al  factum  brutum,  quel  fatalismo  dei  petits  faits  (ce  petit
      fatalisme, lo definisco io), in cui la scienza francese cerca oggi una specie di primato morale
      su quella tedesca, quel voler rinunziare a ogni interpretazione (a violentare, rimettere a posto,
      abbreviare,  tralasciare,  riempire,  inventare,  falsificare  e  a  tutto  quello  che  è  proprio
      dell’essenza di ogni interpretare) – esprime, di massima, tanto ascetismo della virtù, quanto
      ne  esprime  qualsiasi  negazione  della  sensualità  (in  fondo,  è  soltanto  un  modus  di  questa
      negazione). Quello che però costringe ad esso, quella assoluta volontà di verità, è la fede

      nello stesso ideale ascetico, anche se come un imperativo inconscio – non ci si inganni in
      merito  –  è  la  fede  in  un  valore  metafisico,  in  un  valore  in  sé  della  verità,  come  solo
      quell’ideale  garantisce  e  validifica  (si  sostiene  e  crolla  con  quell’ideale).  Non  esiste,  a
      giudicare rigorosamente, nessuna scienza «priva di presupposti», il pensiero di una scienza
      tale è impensabile, paralogico: una filosofia, una «fede», deve sempre preesistere, affinché la
      scienza ne derivi una linea, un senso, un limite, un metodo, un diritto all’esistenza. (Chi la

      pensa diversamente, chi la scienza ne derivi una linea, un senso, un limite, un merosamente
      scientifica», deve prima, a questo scopo, capovolgere non solo la filosofia, ma anche la verità
      stessa:  il  più  grave  oltraggio  al  pudore  che  possa  esistere  nei  riguardi  di  due  così  degne
      damigelle!).  Sì,  non  c’è  dubbio  –  e  qui  cedo  la  parola  alla  mia  «Gaia  scienza»  cfr.  libro
      quinto,  p.  263  –:  «l’uomo  veritiero,  in  quel  temerario  ed  estremo  significato  con  cui  lo
      presuppone la fede nella scienza, afferma in tal modo un mondo diverso che quello della vita,
      della natura e della storia; e in quanto afferma questo “mondo diverso”, come? non deve con

      ciò  stesso  negare  la  sua  antitesi  questo  mondo,  il  nostro  mondo?...  È  pur  sempre  una  fede
      metafisica, quella su cui si fonda la nostra fede nella scienza – anche noi odierni soggetti della
      conoscenza,  noi  atei  e  antimetafisici,  anche  noi  prendiamo  ancora  il  nostro  fuoco  da
      quell’incendio che una credenza millenaria ha acceso, quella credenza cristiana che era altresì
      la fede di Platone, per la quale Dio è la verità e la verità è divina... Ma in che modo può darsi

      ciò, se proprio questo si va facendo sempre più incredibile, se nulla più si manifesta come
      divino se non l’errore, la cecità, la menzogna – se Dio stesso si manifesta come la nostra più
      lunga menzogna»... A questo punto è necessario fermarsi e riflettere lungamente. La scienza
      stessa ha bisogno ormai di una giustificazione (col che non è ancora stato detto, che ne esista
      una per lei). Per questo problema basta considerare le più antiche e le più recenti filosofie: in
      tutte manca una coscienza di quanto la stessa volontà di verità abbia prima bisogno di una
      giustificazione,  e  questa  è  una  lacuna  in  ogni  filosofia  –  e  questo  perché?  Perché  l’ideale
      ascetico sino ad oggi ha dominato tutte le filosofie, perché la verità è stata posta come essere,

      come Dio, come la stessa somma istanza; perché alla verità non è mai stato lecito essere un
      problema. Questo «era lecito», lo si comprende? – A partire dal momento in cui la fede nel
      Dio dell’ideale ascetico viene  negata,  si  crea  anche  un  nuovo  problema:  quello  del  valore
      della verità. – La volontà di verità ha bisogno di una critica – con ciò definiamo il nostro
      proprio compito –, il valore della verità deve, in via sperimentale, essere messo una volta in

      questione  (Chi  ritiene  che  sia  stato  troppo  conciso,  può  rileggersi  quel  passo  della  «Gaia
      scienza» dal titolo: «In che misura anche noi siamo ancora devoti», p. 260 segg., o meglio
      ancora tutto il quinto libro della suddetta opera, come pure la prefazione ad «Aurora»).
   97   98   99   100   101   102   103   104   105   106   107