Page 104 - Nietzsche - Genealogia della morale
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non lo sono per nulla, io li ho chiamati tisici dello spirito). Le famose vittorie di questi
ultimi: sono vittorie, non c’è dubbio – ma su che cosa? In essi l’ideale ascetico non è stato
affatto sconfitto, anzi fu reso più forte, cioè più inafferrabile, più spirituale, più insidioso,
perché la scienza ha sempre e di nuovo demolito senza pietà, distrutto un muro, un contrafforte
che gli si era addossato e che ne rendeva più rozzo l’aspetto. Pensate veramente che la
sconfitta dell’astronomia teologica significhi una sconfitta di quell’ideale?... Forse l’uomo è
diventato meno bisognoso di una soluzione trascendente del suo enigma esistenziale, perché
questa esistenza, da allora, si presenta più gratuita, più disutile, più superflua nell’ordine
visibile delle cose? da Copernico in poi l’autodiminuzione dell’uomo, la sua volontà di
autodiminuirsi, non progredisce forse inarrestabilmente? Purtroppo la fede nella sua dignità,
unicità, insurrogabilità nella sequenza gerarchica degli esseri è scomparsa – è diventato
animale, animale, senza similitudini, detrazioni e riserve, lui che nella sua fede di un tempo
era quasi Dio («figlio di Dio», «Uomo-Dio»)... Da Copernico in poi, l’uomo sembra essere
finito su una superficie inclinata – ora rotola sempre più velocemente lontano dal punto
centrale – dove? nel nulla? verso «il sentimento corrosivo del proprio nulla»?... Suvvia!
sarebbe questa la retta via – verso l’antico ideale?... Ogni scienza (e niente affatto solo
l’astronomia sui cui demoralizzanti e deleteri effetti Kant ha reso la notevole confessione che
«essa nullifica la mia importanza»...), ogni scienza, tanto quella naturale, quanto quella non
naturale, – così definisco l’autocritica della conoscenza – tende oggi a rimuovere nell’uomo
il senso di rispetto avuto sino ad oggi per se stesso, come se non fosse altro che una bizzarra
vanagloria; si potrebbe quasi dire che essa fonda il suo proprio orgoglio, la sua propria dura
forma di atarassia storica nel mantenere presso di sé questo autodisprezzo dell’uomo
faticosamente conquistato, come il suo ultimo e più serio titolo di stima (e con ragione, in
verità: poiché chi disprezza, è pur sempre uno che «non ha disimparato l’apprezzare»...). Così
si lavora contro l’ideale ascetico? Si crede ancora realmente e seriamente (come hanno
immaginato, per un certo periodo di tempo, i teologi), che la vittoria di Kant sulla dogmatica
concettuale teologica («Dio», «libertà», «anima», «immortalità») avrebbe danneggiato in
qualche modo quell’ideale? – e qui adesso non ci deve interessare se Kant stesso ha avuto
qualcosa del genere anche solo nelle sue intenzioni. Sta di fatto che a partire da Kant ogni
specie di trascendentalisti ha avuto partita vinta – si sono emancipati dai teologi: che fortuna!
– egli ha mostrato loro quella via traversa sulla quale possono autonomamente e con la
massima dignità scientifica seguire i «desideri del loro cuore». E ancora chi potrebbe ormai
rimproverare gli agnostici se questi, quali adoratori dell’ignoto e del misterioso in sé, adorano
ora il punto interrogativo stesso come se fosse Dio? (Xaver Daudan parla dei ravages che
«l’habitude d’admirer l’inintelligible au lieu de rester tout simplement dans l’inconnu»
avrebbe provocato; ritiene che gli antichi ne avrebbero fatto a meno). Nell’ipotesi che tutto
ciò che l’uomo «conosce» non soddisfi i suoi desideri, ma che li contraddica invece e li
terrorizzi, quale divina scappatoia poterne cercare la colpa non del «desiderare», sebbene nel
«conoscere»!... «Non esiste alcuna conoscenza: di conseguenza – esiste un Dio»: che aveva
elegantia syllogismi! Quale trionfo dell’ideale ascetico! –
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– O forse tutta la storiografia moderna ha avuto un atteggiamento più carico di certezza di