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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                         LA CHIOCCIOLA E IL ROSAIO


                   Intorno al giardino c'era tutta una siepe di nocciuoli; al di là della siepe, i campi e i prati, con
            le mucche e le pecore; nel mezzo del giardino, un bel rosaio in fiore; e a' piedi del rosaio, una
            chiocciola, la quale dentro non aveva poco, poichè era piena di sè.
                   «Aspettate che venga la mia volta!» — diceva: «Farò ben di meglio, io, che dar rose,
            nocciuole o latte, come il rosaio, come i nocciuoli, come le mucche e le pecore.»
                   «E da te, infatti, ci aspettavamo moltissimo!» — diceva il rosaio: «Ma, se la domanda è
            lecita, quando ci farai tu vedere qualche cosa?»
                   «Io mi prendo tempo,» — replicava la chiocciola: «Avete sempre furia, voialtri! E così non
            eccitate la curiosità con l'aspettazione.»
                   L'anno dopo, la chiocciola stava circa allo stesso posto, al sole, sotto il rosaio; e il rosaio
            metteva da capo i bocciuoli, i quali fiorivano in rose sempre fresche, sempre nuove. La chiocciola
            strisciò a mezzo fuor del guscio, stese le corna e poi le ritirò.
                   «Tutto come l'anno passato. Nessun progresso. Il rosaio s'è fermato alle rose e di meglio non
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            sa fare.» .
                   Passò l'estate e venne l'autunno; il rosaio continuò a dar rose, sin che cadde la neve ed il
            tempo si fece umido e freddo; e allora il rosaio si chinò al suolo: la chiocciola si ficcò sotterra.
                   Poi cominciò un anno nuovo, e le rose tornarono a sbocciare e tornò fuori anche la
            chiocciola.
                   «Ora, tu sei un vecchio rosaio,» — disse la chiocciola «Devi sbrigarti e finirla, poi che hai
            dato al mondo tutto quello che avevi in te: se sia servito a qualche cosa, è questione ch'io non ho
            avuto tempo di meditare; ma questo intanto è chiaro e limpido: che tu non hai fatto niente di niente
            per migliorare te stesso: se no, avresti dato qualche cos'altro. Che puoi rispondere a questo? Tra
            poco sarai ridotto un pezzo di legno secco. Capisci quel che ti dico?»
                   «Mi fai paura!» — rispose il rosaio. «Non ci avevo pensato mai.»
                   «No, davvero; tu non ti sei affaticato di certo a pensare. Ti sei nemmeno domandato perchè
            fiorisci e come avviene la tua fioritura? Perchè le cose vanno così e non in altro modo?»
                   «No,» — disse il rosaio. «Io ho fiorito nella gioia perchè non potevo altrimenti. Il sole era
            così caldo, l'aria così fresca... Bevevo le pure gocciole di rugiada e la forte pioggia violenta:
            respiravo, vivevo! Fuor della terra, sorgeva in me una forza; dall'alto, scendeva in me una forza; ed
            io ne risentivo una gioia sempre nuova, e sempre così grande, che dovevo fiorire e fiorire. Era la
            mia vita quella; nè potevo fare altrimenti!
                   «Hai menato una vita molto comoda!» — osservò la chiocciola.
                   «Oh, sì. Tutto mi fu donato,» — disse il rosaio: «Ma a te fu donato di più. Tu sei una di
            quelle nature pensose, profonde, riccamente dotate, le quali vogliono far meravigliare il mondo».
                   «Oh, questo non mi passa nemmeno per la mente!» — esclamò la chiocciola. «Il mondo, per
            me, è nulla. Che ci ho da fare io col mondo? Ho abbastanza di me stessa e di quello che ho dentro.»
                   «Ma non dobbiamo tutti, su questa terra, dare agli altri il meglio che abbiamo, donare quello
            ch'è in nostro potere? Certo, io non ho dato altro che rose. Ma tu, con tutte le tue belle qualità, che
            cos'hai tu dato al mondo? che intendi di dargli?»

                   (17)  Più tardi troverete la morale della favola danese nel volume di un Poeta nostro. Anche Giovanni Pascoli
            racconta la storia di due fuchi, e la intitola Le pene del Poeta:

                        Due fuchi udii ronzare sotto un moro.
                         Fanno queste api quel lor miele (il primo
                         diceva) e niente più: beate loro.
                         E l'altro: E poi fa afa: troppo timo!

            (Myricae, Livorno, 1900, pag. 63).
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