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40 Novelle Hans Christian Andersen
tasche e zaino. Poi andò nella terza stanza. Uh! che orrore! Quel cagnaccio aveva davvero gli occhi
come torrioni, e giravano giravano come ruote.
«Buona sera a lei!» — disse il soldato, e fece il saluto con la mano al cheppì, perchè una
bestia simile non l'aveva mai veduta davvero. Quando l'ebbe esaminato un po' più da vicino: «Ora
basta!» — disse; lo sollevò, lo mise a terra ed aperse lo scrigno. Bontà divina! Che massa d'oro c'era
là dentro! Tanto da comprare tutta la città di Copenaghen e tutte le caramelle della pasticcera, e tutti
i soldatini di piombo, e le fruste, e i cavalli a dondolo del mondo intero. Ah, che massa di danaro! E
il soldato, via subito tutto l'argento di cui aveva riempite tasche e zaino, e dentro oro, invece! Oro in
ogni tasca, nella giberna, nello zaino, nel cheppì, nelle trombe degli stivali, da per tutto, tanto che
non poteva quasi più camminare. Ora sì, che ne aveva del danaro! Rimise il cane sullo scrigno,
richiuse la porta, e poi gridò, affacciandosi al cavo dell'albero: «Tirami su, ohe! vecchia strega!»
«L'acciarino, ce l'hai?» — domandò la strega.
«Hai ragione!» — disse il soldato: «M'era proprio uscito di mente.» E andò, e lo prese.
La vecchia lo tirò su, e in un momento egli fu di nuovo sulla strada maestra, con le tasche,
gli stivaloni, lo zaino, il cheppì, tutti pieni d'oro.
«Che vuoi tu fare di questo acciarino?» — domandò il soldato.
«Ciò non ti riguarda,» — rispose la strega: «Il tuo danaro, l'hai avuto: dammi dunque il mio
acciarino.»
«Marameo!» — fece il soldato: «O mi dici subito quel che vuoi fare, o cavo la spada e ti
taglio la testa!»
«No!» — disse la strega.
E il soldato le tagliò la testa, e la lasciò lì sulla strada. Mise tutto il danaro nel grembiale di
rigatino, ne fece un involto e se lo caricò sulle spalle; si cacciò in tasca l'acciarino, e via difilato in
città.
Che magnifica città era quella! Ed egli andò niente meno che alla primissima locanda, si
fece dare le più belle stanze, e ordinò tutti i piatti di cui era più ghiotto; perchè, oramai, era ricco a
palate, con tutto quell'oro che aveva. Il facchino della locanda, ch'ebbe a lustrargli gli stivali, li
trovò, a dir vero, un po' vecchi e logori per un signore a quel modo; ma egli non aveva ancora avuto
tempo per comprarsene di nuovi: il giorno dopo si procurò scarpe e vestiti adatti al suo stato. Ora, il
nostro soldato era dunque divenuto un ricco signore; e la gente gli raccontava di tutte le belle cose
che c'erano da vedere nella città, e del Re, e della Principessa sua figliuola, bella come il sole.
«E dove si va per poterla vedere?» — domandò il soldato.
«Vederla non si può, in nessun modo!» — dissero tutti a una voce. «Abita un grande castello
di rame, con tante e tante cinte di muraglie e tante e tante torri: non ci può andare altri che il Re;
perchè fu predetto che avrebbe sposato un soldato semplice, ed il Re non può tollerare una cosa
simile.»
«Mi piacerebbe di vederla!» — pensò il soldato; ma, naturalmente, non c'era da ottenere
permessi.
Intanto, passava allegramente le sue giornate: andava a teatro ogni sera, puntualmente;
girava in carrozza per i giardini reali, e dava molto danaro ai poveri; e qui, almeno, faceva bene.
Non aveva mica dimenticato i giorni della sua prima giovinezza, nè quel che voglia dire essere
senza un soldo. Era ricco ora, e aveva bei vestiti, e s'era fatto molti amici, i quali tutti dicevano
ch'era un bravo giovanotto e un vero gentiluomo: e ciò al soldato faceva molto piacere. Siccome,
però, danaro ne spendeva ogni giorno e mai ne guadagnava, si trovò ridotto, una bella mattina, a
non aver più che due soldi; e così dovette sloggiare dall'elegante quartiere che aveva abitato sino
allora, e andar a stare in uno sgabuzzino sotto il tetto; e gli toccò lustrarsi da sè gli stivali, e ogni
tanto darvi anche qualche punto con un ago da stuoie. Gli amici non venivano più a trovarlo, perchè
c'era da salir troppe scale.
Una sera, ch'era buio pesto ed egli non aveva nemmeno di che comprarsi un mozzicone di
candela, si rammentò a un tratto d'un pezzetto d'esca, il quale doveva essere ancora nella scatola
dell'acciarino, da quel giorno che l'aveva portato su dal cavo dell'albero, dove la strega lo aveva
mandato. Cavò fuori esca e acciarino; ma proprio nel momento che, battendo sulla pietra focaia, ne
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