Page 42 - 40 Novelle
P. 42
40 Novelle Hans Christian Andersen
bene, ed era molto dispiacente di non essere principe e di non poterla sposare.
Il cane non si avvide della farina, che s'era sparsa per tutta la strada, dal castello sin sotto
alla finestra del soldato, dove aveva dato la scalata al muro, sempre reggendo la Principessa sul
dorso. E così, al mattino, il Re e la Regina vennero a risapere dove la loro figliuola fosse stata; e il
soldato fu preso e messo in prigione.
E in prigione gli toccò stare. Ah, che buio e che noia là dentro! E, per giunta, sentirsi dire:
«Domani sarai impiccato!» C'era poco da stare allegri, davvero; e pensare che aveva lasciato
l'acciarino alla locanda! La mattina, dall'inferriata della prigione, scorgeva già la gente che
s'affrettava fuor di porta, per vederlo impiccare; e sentiva le trombe, e lo scalpiccìo dei soldati che
sfilavano. Tutti correvano: anzi, un garzone di calzolaio, ch'era tra la folla, col suo grembiale di
cuoio e certe ciabatte sgangherate, correva tanto, che una delle ciabatte gli sgusciò via e andò a
battere proprio contro il muro, dietro al quale stava il nostro soldato, affacciato all'inferriata.
«Ohi là, ragazzo mio! Che c'è bisogno di scalmanarsi a cotesto modo?» — gli gridò il
soldato: «Tanto senza di me non incominciano! Ma se vuoi fare una corsa sino al mio alloggio, a
prendermi il mio acciarino, ti darò' quattro soldi. Devi adoperare le gambe della domenica, però!»
Al garzone del calzolaio, quattro soldi facevano molto comodo; per ciò andò via di carriera,
e in quattro e quattr'otto tornò con l'acciarino. — E allora... e allora, state a sentire quel che
avvenne.
Fuori della città, era rizzata una grande forca; e intorno ci stavano i soldati e molte migliaia
di spettatori; e il Re e la Regina erano seduti su di un ricchissimo trono, rimpetto ai Giudici e al
Consiglio della Corona. Il soldato era già sul palco; ma quando stavano per mettergli la corda al
collo, domandò di parlare: ad un povero condannato prima del supplizio era sempre concesso di
esprimere un ultimo innocente desiderio, ed egli disse che si struggeva di fumare una pipa di
tabacco, e sperava gli fosse accordato, poi ch'era l'ultima fumatina, che dava in questo mondo.
Il Re non seppe negargli questa piccola grazia; e allora il soldato cavò l'acciarino e battè la
pietra una, due, tre volte... Che è, che non è, eccoti a un tratto tutti e tre i cani, quello con gli occhi
come scodelle, quello con gli occhi come mole da molino e quello con gli occhi come torrioni.
«Aiutatemi un po' ora, che non m'impicchino!» — disse il soldato.
I cani non se lo fecero dir due volte: si avventarono ai Giudici ed ai Consiglieri della
Corona, e chi afferrando per uno stinco, chi per una spalla, e chi per il naso, li buttarono tutti a
gambe all'aria, e ne fecero un massacro.
«Non voglio!» — diceva il Re; ma il cagnaccio più grande prese lui e la Regina e li
scaraventò dietro agli altri. Allora poi, anche le guardie ebbero paura, e tutto il popolo si diede a
gridare: «Soldatino, soldatino caro, sii tu nostro Re e marito della nostra bella Reginotta!»
Misero il soldato nella carrozza del Re, e i tre cani andavano innanzi come staffette e
gridavano: Evviva!, i ragazzi fischiavano, ponendosi due dita in bocca, e i soldati presentavano le
armi. La Principessa uscì dal suo castello di rame e divenne Regina; le feste nuziali durarono una
settimana intera, e i tre cani, seduti a tavola con gli altri, spalancavano tanto d'occhi, ancora più del
solito, a tutto quel che vedevano.
40