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40 Novelle Hans Christian Andersen
Copenaghen.
Veramente, quando giunse a Nyborg, in riva al Piccolo Belt, e pensò ch'era sul punto di
abbandonare l'isoletta natìa, e di mettere il mare tra sè e la sua mamma, gli vennero i lucciconi. Ma
c'erano tante cose nuove da vedere... E poi, non era sicuro oramai di far fortuna? E allora, l'avrebbe
aiutata lui, la sua mamma, e in modo che non avesse più da stentare la vita.
* *
9
Un giorno, la celebre ballerina Schall se ne stava nel salottino della sua bella casa di Copenaghen,
quando le capitò una visita bizzarra. Un giovinetto lungo lungo, magro da far paura, si presentò con
una lettera. Era vestito poveramente, con una giacca che doveva prima aver appartenuto a suo
padre, ed un paio di pantaloni troppo larghi, ficcati dentro alla tromba degli stivali, per timore che il
formidabile scricchiolìo, di cui sembrava compiacersi tanto, non bastasse a far notare ch'erano
stivali nuovi, o per lo meno, adoperati ben di rado dal proprietario. Gli occhi profondamente
incavati, piccoli ed irrequieti, pareva si sforzassero di uscire dall'ombra del naso enorme; il collo era
tanto lungo e sottile, che fuor dalla sciarpa di lana ravvoltagli attorno per un numero inverosimile di
giri, ne avanzava sempre una spanna.
In vita sua, Madama Schall non aveva mai sentito nominare il vecchio Iversen, autore della
lettera di raccomandazione; e quando il giovinetto le disse di volersi dedicare al teatro, arrischiò una
domanda «Scusi: ma che parte vorrebbe recitare?»
«Vorrei una parte nella Cenerentola!» — disse il ragazzo, che nella Cenerentola, a Odense,
aveva figurato quale comparsa. E subito, per dare un'idea della sua abilità, si tolse gli stivali, brandì
il suo cappellone a guisa di tamburello, e improvvisò una danza così grottesca, che la signora,
spaventata, si affrettò a congedarlo. Qualche anno dopo, gli confessò di averlo preso per un pazzo
scappato dall'ospedale.
Andò dal direttore del Teatro Nazionale, e si ebbe in risposta «ch'era troppo magro per la
scena...» E allora si sentì davvero solo e avvilito; e con queste prime delusioni incominciò per lui un
periodo tristissimo, un periodo che somiglia alla terribile invernata del suo anitroccolo.
I quindici rigsdaler, che formavano tutto il suo gruzzolo, eran sembrati da prima al ragazzo
un tesoro inesauribile; ed egli s'era dato persino il lusso di andare al Teatro Nazionale, a sentire
«Paolo e Virginia», ed a piangere sui casi loro tutte le sue lacrime. (Due buone donne, vicine a lui di
posto nella galleria, l'avevano consolato, anzi, alla meglio, dandogli un po' del loro pane imburrato,
e dicendogli: «che non era già una storia vera!») Ma un letto da dormire e un boccone da mangiare,
in una grande città dove non conoscete un'anima, e dove nessuno vi dà nemmeno un bicchier
d'acqua per piacere, costano assai cari: ed il gruzzolo del povero Hans sfumò ben presto.
Che fare? Tornare a Odense, dandosi subito vinto? Hans preferì lottare, certo che la
Provvidenza non l'avrebbe abbandonato. Andò da un falegname e si impiegò quale garzone: ma i
modi e i discorsi degli altri operai lo disgustarono tanto, che non ci potè durare, e lasciò il posto sin
dal primo giorno. Mentre girava le vie, e sentiva tutto il peso della sua solitudine, gli tornò alla
mente di aver udito parlare, a Odense, di un Italiano, certo Siboni, nominato da poco direttore del R.
Conservatorio di musica; e pensò di andar da lui.
Quel giorno, erano a desinare dal maestro Siboni parecchi artisti e letterati, tra i quali il
celebre poeta Baggesen (di cui il piccolo Tuk vi dirà qualche cosa) ed il compositore Weyse. Il
povero Hans era così avvilito e turbato, che alla donna venuta ad aprirgli, non solo disse che
supplicava il maestro di riceverlo, ma raccontò piangendo tutti i suoi guai. La donna, commossa,
entrò in casa, e tornò con tutta la comitiva, curiosa di vedere questo strano postulante, che aveva
tanta smania di apprendere la musica. Il maestro lo condusse in salotto, e gli provò la voce al piano.
Poi, Hans recitò alcune scene di Ludovico Holberg, e alla fine, sopraffatto dalla coscienza della
propria miseria, più che dalla commozione per il tragico brano che declamava, scoppiò in singhiozzi
così veri e strazianti, che tutto l'uditorio applaudì freneticamente. Una colletta fatta tra gli astanti
(9) 7 settembre 1819.
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