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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            zingarella Noemi, per dirne uno, nel Violinista, o di Hialmar e di Elisabetta nelle Due Baronesse.
            Dopo sei anni di lavoro, nel '47, pubblicò il suo grande poema Ahasuerus, ove sono alcune cose
            bellissime, specie nei due primi libri. Ma l'Autore sembra imbarazzato a condurlo a termine, e lascia
            in tronco il protagonista (il dèmone del dubbio), esprimendo ingenuamente la speranza «che altri ne
            canti poi meglio di lui» — quasi che finisse una novellina «Stretta la foglia, lunga la via... Dite la
            vostra che ho detto la mia!»
                   Anche allora, l'Andersen si sentì ammonire  dai critici che «il Pegaso dell'epica non era
            cavalcatura per il suo genio; ma che doveva contentarsi di quella magnifica farfalla variopinta, che
            l'aveva portato sino allora nel Regno delle fate a scegliere fior da fiore.»
                   Sin dal 1845, in fatti, l'Anitroccolo gli aveva assicurata per sempre la fama, anche in patria,
            dove l'entusiasmo per le fiabe fu assai più tardo a destarsi che nella Norvegia, nella Germania,
            nell'Inghilterra; e del suo grandioso poema in vece nessuno parla più. Ma quantunque la fama gli
            venisse di dove meno si aspettava, egli accolse con umile gioia la sua fortuna: «Io mi domando
            sovente perchè mai il Signore mi colmi di tante benedizioni. Quando tutto ci fu donato, non c'è
            davvero di che insuperbire: non si può se non chinar la testa, e ringraziar Dio, nella più schietta
            umiltà.» Ed ogni anno, festeggiava con particolare commozione il 5 settembre, la data del suo primo
            arrivo a Copenaghen. Una volta, anzi, che si trovò in quel giorno ospite di Re Cristiano VIII a Wyk,
            nell'isola di Föhr, il ministro Rantzau, sapendo che significasse per l'Andersen quella data, lo disse
            alla Regina; e tutta la famiglia reale festeggiò affettuosamente il poeta, e Re Cristiano volle farsi
            raccontare tutta la storia di quel povero figliuolo del ciabattino di Odense, ch'era arrivato a
            Copenaghen con quindici talleri e con una lettera per Madama Schall.
                   «Ed ora?» — domandò il Re.
                   «Oh, ora sono tanto felice e tanto riconoscente...»
                   «Se mai vi posso esser utile in qualche cosa, ricordatevi di dirmelo.»
                   «Grazie, Maestà; non saprei davvero che domandare.»
                   L'Andersen era tutt'altro che ricco, perchè a quel tempo le sue rendite si riducevano a due
            lire il giorno, frutto de' suoi risparmi, oltre al modestissimo guadagno che gli procurava il lavoro
            letterario; e pure, quando il ministro Rantzau gli disse che il Re si sarebbe appunto aspettato che gli
            domandasse qualche cosa, se ne stupì:
                   «Sarò anche sembrato uno sciocco; ma davvero non saprei che cosa desiderare.»
                   In fatti, l'unico suo desiderio era di poter ogni tanto prendere il volo verso i paesi del sole; di
            poter passare ogni tanto le nostre Alpi, che gli apparivano «come le grandi ali ripiegate della terra.»
            E le sue savie economie, non solo gli permettevano questo lusso, ma lo ponevano in grado, negli
            ultimi anni, di condur con sè qualche giovane amico — Jonas Collin juniore, per esempio, figlio del
            suo fratello di elezione Eduardo, o Nicolò Bogh, che pubblicò più tardi l'epistolario. Tornato in
            patria, datava poi le lettere «Dal freddo, dal fango, dalla nebbia...» e ognuno doveva capire che
            scriveva da Copenaghen!
                   La novella della sua vita non sarebbe una novella se vi mancassero i re ed i principi. Tutte le
            Corti dell'Europa centrale andavano a gara nell'invitarlo e nel colmarlo di onori. Il Granduca di
            Weimar lo voleva lungamente ospite e lo trattava come un amico; il Re di Prussia lo invitava a
            pranzo e lo insigniva dell'Aquila Rossa; la Principessa ereditaria gli donava un bell'albo di velluto
            azzurro. E da per tutto gli facevano leggere le sue novelle. Alla Corte di Sassonia i figli del Re
            Giorgio «le sapevano tutte a memoria;»  il Re stesso gli domandò di leggere l'Abete e  Holger
            Danske, e la Principessina Maria Elisabetta, allora quattordicenne, ricordando molti anni dopo la
            visita del buon vecchio poeta, ne raccontava le novelle alla sua bambina — Margherita di Savoia.

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                   La predizione si avverò: per una volta almeno le posature di caffè non avevano mentito. Nel
            decembre 1867 Odense fu illuminata in onore di Giovanni Cristiano Andersen, e le feste solenni
            superarono certo ogni più pazzo sogno della povera Anna Maria.
                   L'Andersen fu ospite del Vescovo e tutte le autorità vennero ad ossequiarlo; e nel palazzo di

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