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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                           IL BRUTTO ANITROCCOLO


                   Che bellezza, fuori, in campagna! Piena estate: il grano tutto giallo come l'oro, l'avena verde;
            il fieno ammucchiato già nei prati, e la cicogna dalle lunghe gambe rosse che gli passeggia attorno,
            chiacchierando in Egiziano... — perchè l'Egiziano è la lingua che le ha insegnato mamma Cicogna.
            — Di là dai campi e dai prati, ecco i boschi folti e neri; e in mezzo ai boschi, i bei laghi azzurri e
            profondi. Oh, fuori, in campagna, è una vera bellezza!
                   Sotto al sole caldo, c'era una volta un vecchio castello, circondato da profondi fossati; e dal
            muro di cinta giù giù sino all'acqua crescevano alte le bardane, così alte e folte, che un bambino
            sarebbe potuto star ritto sotto alle foglie più grandi. Pareva d'essere nel cuore della foresta, là sotto.
            E là appunto stava un'anitra, nel nido, a covare i suoi piccoli; ma era già quasi noiata, perchè la
            faccenda durava da un pezzo, e ben di rado le capitava qualche visita. Le altre anitre preferivano
            diguazzare lietamente nei fossati,  anzi che andarla a trovare e starsene sotto le bardane a
            chiacchierare con lei.
                   Finalmente, un ovo si aperse, e poi un altro, e poi un altro:
                   «Pip, Pip!» — fecero; e tutti gli anatrini, belli e vivi, misero fuori il capo.
                   «Qua, qua!» — fece la mamma. — «Qua qua!» — risposero i piccoli, e scapparono fuori
            con tutte le forze loro, e cominciarono a guardarsi attorno, tra le foglie verdi; e la mamma li lasciò
            guardare quanto volevano, perchè il verde fa bene agli occhi.
                   «Com'è grande il mondo!» — esclamarono gli anitroccoli. Infatti, ora avevano molto più
            spazio di quando stavano chiusi nell'ovo.
                   «Credete che il mondo sia tutto qui ?» — disse la madre: «Il mondo è ben più grande: arriva,
            dall'altra parte del giardino, sino al podere del parroco; là, io non ci sono ancora mai stata... Ci siete
            tutti? tutti uniti, per benino?» — e fece per alzarsi: «No non siete tutti: l'ovo più grosso è sempre
            qui. Quanto ci vorrà ancora? Davvero che questa volta ne ho quasi abbastanza!» — E si rimise a
            covare.
                   «Dunque, come va?» domandò una vecchia anitra venuta a farle visita.
                   «Va, che va per le lunghe con uno di questi ovi!» — disse l'anitra che covava: «Non ci si
            scorge ancora nemmeno uno screpolo. Ma bisogna tu veda gli altri. Sono i più begli anatrini ch'io
            abbia mai veduti. Tutti il loro padre, quel mariuolo, che nemmeno è venuto una volta a trovarmi!»
                   «Lasciami vedere quest'ovo che non vuole scoppiare,» — replicò l'altra. «Bada a me, sarà
            ovo di tacchina. È toccata a me pure una volta, e ti so dire che ho avuto il mio bel da fare con quei
            piccoli: avevano una paura dell'acqua... Per quanto chiamassi e sbattessi le ali, non ne venivo a
            capo. Fammi vedere. Sì, sì, è un ovo di tacchina. E tu lascialo fare, e insegna piuttosto a nuotare agli
            altri piccini.»
                   «Oramai ci starò un altro poco,» — rispose la mamma. «Ci sono stata tanto, che poco più,
            poco meno...»
                   «Bontà tua!» — fece la vecchia; e se ne andò.
                   Finalmente, l'ovo grosso si aperse. «Pip, pip!» — disse il figliuolo, e scappò fuori. Era
            grande grande e bruttissimo. L'anitra lo guardò bene. «È terribilmente grosso,» — disse: «Nessuno
            degli altri è così: fosse mai davvero un piccolo tacchino ? Si fa presto a vedere. Ma nell'acqua ha da
            andare, dovessi buttarcelo dentro io, dovessi!»
                   Il giorno dopo, il tempo era magnifico: il sole splendeva caldo tra il verde. Mamma Anitra
            fece la sua comparsa al fossato con tutta la famiglia. Plasch! e saltò nell'acqua. «Qua, qua!» —
            chiamò; e l'uno dopo l'altro gli anatrini saltarono dentro. L'acqua si richiuse sul loro capo, ma ben
            presto tornarono a galla, e si misero a nuotare: le gambe si movevano da sè, e tutti andavano
            benone: anche il brutto anitroccolo bigio nuotava con gli altri.
                   «No, non è un tacchino,» — disse la mamma. «Vedete come sa adoprar bene le gambe,
            come fila diritto! Quello è figlio mio. In fondo, non è poi brutto, a guardarlo bene. Qua qua!» —

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