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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            strane voglie. Se tu facessi l'ovo o le fusa, vedresti che ti passerebbero.»
                   «Ah, ma nuotare, che delizia!» replicava  l'anitroccolo: «Che delizia rinfrescarsi il capo
            sott'acqua, e saltar giù dalla riva per tuffarsi!»
                   «Sì, dev'essere proprio una bella gioia!» — disse la gallina ironicamente: «Diventi matto,
            ora? Domanda un po' al gatto, ch'è il più savio tra quanti io mi conosca, se gli parrebbe un piacere
            saltare nell'acqua e nuotare! Di me, non parlo... Domandalo, se vuoi, anche a Sua Eccellenza, la
            nostra vecchia padrona. Più savio di lei, non c'è alcuno al mondo. Ti pare che le possa venir voglia
            di nuotare, o di sentirsi richiudere l'acqua al di sopra del capo?»
                   «Voi altri non mi capite!» — disse l'anatroccolo.
                   «Se non ti si capisce noi, chi dunque t'ha a capire? Non vorrai già essere più sapiente del
            gatto e della padrona. Di me, ti dico, nemmeno voglio parlare. Non farmi lo schizzinoso, bambino;
            non ti mettere grilli per il capo. Ringrazia il tuo Creatore per tutto il bene che ti ha concesso. Non
            sei capitato in una stanza ben riparata, e in una compagnia, dalla quale non hai se non da imparare?
            Ma sei un cervello sventato, e non c'è sugo a ragionare con te. A me, tu puoi credere, perchè ti
            voglio bene; ti dico certe verità  che ti feriscono, ma da questo si conoscono i veri amici! Vedi
            d'imparare a far l'ovo, a buttar fuori scintille e a far le fusa!»
                   «Credo che me n'andrò a girare il mondo,» — disse l'anitroccolo.
                   «Buon pro ti faccia!» disse di rimando la gallina.
                   E l'anitroccolo se ne andò. Si tuffò nell'acqua, nuotò; ma per la sua bruttezza tutte le bestie
            lo scansavano.
                   Venne l'autunno: nel bosco le foglie diventarono gialle e brune: la bufera le portava via, le
            faceva turbinare, e su, nell'aria, il freddo diveniva sempre più intenso. Le nubi pendevano gravi di
            gragnuola e di fiocchi di neve, e sulla siepe c'era un corvo che faceva cra-cra dal freddo. Davvero
            che c'era da gelare solo a pensarci! E per il povero anitroccolo furono tempi molto duri.
                   Una sera — il sole tramontava appunto in tutto il suo meraviglioso splendore — sbucò fuori
            da' cespugli uno sciame di grandi e magnifici uccelli, così belli come il nostro anitroccolo non ne
            aveva ancora mai veduti; di una bianchezza abbagliante, con certi colli lunghi e flessuosi. Erano
            cigni. Mandarono un loro verso speciale, allargarono le grandi splendide ali, e volarono via da tutto
            quel gelo, verso paesi più caldi, verso mari aperti. Volarono così alto, che il brutto anatrino provò
            dentro un senso strano, mentre li guardava salire. Si mise a girare e a girare nell'acqua come una
            ruota; allungò il collo verso gli uccelli, e mandò un grido così forte e così curioso, ch'egli stesso
            n'ebbe paura. Non poteva cavarsi dal cuore quei magnifici, quei beati uccelli: appena li ebbe perduti
            di vista, si tuffò giù giù sino al fondo, e tornò a galla, ch'era quasi fuor di sè. Non sapeva come
            quegli uccelli fossero chiamati, nè dove dirigessero il volo; ma voleva loro un bene, un bene che
            non aveva ancora voluto a nessuno al mondo. Non provava invidia: come gli sarebbe nemmeno
            passato per il capo di desiderare per sè una simile bellezza? Abbastanza sarebbe stata felice, la
            povera brutta bestiola, se le anitre avessero voluto tollerarla!
                   E l'inverno si fece così freddo, così freddo!... L'anitroccolo doveva nuotare e nuotare senza
            posa per isfuggire al gelo. Ma ogni notte il buco dove nuotava si faceva più piccino, sempre più
            piccino. Era così freddo, che la superficie del ghiaccio scricchiolava. L'anitroccolo doveva agitare
            continuamente le gambe, per impedire che il buco finisse di chiudersi. Finalmente, si sentì esausto,
            si abbandonò lì, senza muoversi più, e così rimase, quasi gelato, sul ghiaccio.
                   La mattina dopo, per tempo, venne un contadino, e lo vide; s'accostò, spezzò il ghiaccio con
            uno de' suoi zoccoli di legno, e portò l'anitroccolo a casa, a sua moglie; e lì l'anitroccolo rinvenne.
                   I ragazzi si provarono a giocare con lui. Ma egli credendo che volessero fargli male, dalla
            gran paura volò nella secchia del  latte, così che tutto il latte schizzò per la stanza. La donna,
            disperata, battè le mani, e l'anitroccolo, più spaurito ancora, via, sul vaso dov'essa teneva in serbo il
            burro; e di lì, dentro la madia, in mezzo alla farina, e poi fuori di nuovo, e su, in alto, per la camera.
            Immaginatevi com'era conciato! La donna gridava  e gli correva dietro con le molle, i ragazzi
            saltavano per la casa, ridendo e strepitando e facendo un chiasso indiavolato. Per buona sorte, la
            porta era aperta; e l'anitroccolo potè mettersi in salvo, scappando a traverso ai cespugli, sulla neve
            caduta di fresco; e là rimase, così spossato, che pareva fosse per morire.

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