Page 30 - 40 Novelle
P. 30

40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            meglio, due anitroccoli. Erano usciti da poco dall'ovo e perciò erano un po' monelli.
                   «Senti, camerata: sei d'una bruttezza così perfetta, che sei quasi bello, e ti abbiamo preso a
            ben volere. Vuoi venire con noi,  e diventare uccello di passo? Poco lontano di qui, in un'altra
            palude, abitano certe deliziose anitrelle selvatiche, tutte signorine da marito, che sanno dire qua
            qua! con un garbo, caro mio... Là, tu pure potrai trovare la felicità, per brutto che tu sia...»
                   Pim, pum! A un tratto si sentirono certi tonfi... e i due anitrotti caddero morti nel canneto, e
            l'acqua divenne rossa di sangue. Pim, pum! risonò di nuovo; e tutto lo stormo delle anitre si levò di
            tra' giunchi; e si sentirono altri spari ancora. Era una grande caccia. I  cacciatori stavano tutti
            appostati intorno alla palude: alcuni persino appollaiati tra i rami degli alberi, che sporgevano sopra
            il canneto. Il fumo azzurrino della polvere passava a fiotti tramezzo ai rami oscuri, e si posava
            lontano, sull'acqua. I cani penetrarono nella palude. Platsch, platsch! Giunchi e canne si abbattevano
            da ogni lato. Che spavento fu quello per il povero anitroccolo! Volgeva il capo, per nasconderlo
            sotto l'ala, quando si vide dinanzi un terribile cane, grosso così, con la lingua che gli pendeva tutta
            fuor dei denti, e gli occhi che ardevano come carboni accesi. Quando fu lì, che con la coda quasi
            toccava l'anitroccolo, dischiuse i denti aguzzi e... platsch! — se ne andò senza toccarlo.
                   «Dio sia ringraziato!» — sospirò quello: «Sono tanto brutto che nemmeno il cane vuol
            mangiarmi!»
                   E così rimase quatto quatto, mentre i pallini fischiavano tra le canne e gli spari succedevano
            agli spari.
                   Soltanto tardi nel pomeriggio  tornò la quiete, ma il povero piccino non osava ancora
            muoversi. Lasciò passare molte ore prima d'arrischiarsi a guardare attorno; poi, quanto più presto
            potè, in fretta e furia, lasciò la palude. Correva correva, per campi e per prati; ma era scoppiato un
            temporale, ed a stento riusciva ad andare innanzi.
                   Verso sera giunse ad una misera capannuccia,  ridotta in uno stato così deplorevole, che
            rimaneva ritta per non saper da qual parte cadere. Il vento s'era fatto tanto furioso, che l'anatrino
            dovette accoccolarsi, per non esser portato via. E la furia del temporale cresceva sempre. La povera
            bestiola osservò che la porta, uscita dall'uno dei cardini, era sgangherata per modo, che dalla fessura
            egli avrebbe potuto benissimo penetrare nella capanna. E così fece.
                   Nella capanna abitava una vecchietta, col suo  gatto e la sua gallina; il gatto, ch'essa
            chiamava Figlietto, sapeva far groppone, sapeva far le fusa, e persino mandar scintille, quando, al
            buio, lo si accarezzava contro pelo; la gallina aveva certe zampine, piccine piccine, e per ciò si
            chiamava Gambacorta; faceva le ova d'oro, e la vecchia le voleva bene come ad una figlia.
                   I,a mattina si avvidero subito del forestiero; ed il gatto incominciò a far le fusa e la gallina a
            razzolare.
                   «Che c'è?» — domandò la vecchietta, e si guardò attorno; ma perchè non ci vedeva bene,
            prese l'anitroccolo per una grossa anitra. «Ecco un buon guadagno!» — disse: «Così, potrò avere
            ova d'anitra. Pur che non sia un maschio... Bene, staremo a vedere.»
                   E così l'anitroccolo fu preso a prova per tre settimane; ma ova non ne venivano.
                   Il gatto era il padrone di casa e la gallina la padrona; anzi, parlando, dicevano sempre: «Noi
            e il mondo,» — perchè tra loro due credevano d'essere metà del mondo, e la metà migliore,
            naturalmente. All'anitroccolo pareva, a dir vero, che si potesse anche avere un'opinione diversa; ma,
            questo, la gallina non lo poteva tollerare.
                   «Sai far l'ovo?» — domandava.
                   «No.»
                   «E allora sta' zitto!»
                   E il gatto domandava: «Sai far groppone? sai far le fusa? sai mandar fuori scintille?»
                   «No.»
                   «E allora tu non puoi avere opinioni, quando la gente savia ragiona.»
                   L'anitroccolo se ne stava in un cantuccio ed  era di cattivo umore. Senza volere, pensava
            all'aria fresca, al sole, e gli veniva una tal voglia di tuffarsi nell'acqua, una tale smania di nuotare,
            che alla fine non potè resistere e la confidò alla gallina.
                   «Che ti salta in mente?» — esclamò questa «Non hai niente da fare; epperò ti prendono così

                                                           28
   25   26   27   28   29   30   31   32   33   34   35