Page 32 - 40 Novelle
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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

                   Ma qui la storia diverrebbe proprio troppo melanconica, se vi avessi a raccontare tutti i
            patimenti e la miseria, che l'anitroccolo dovette sopportare in quel crudo inverno. Stava accoccolato
            tra le canne della palude, quando il sole ridivenne caldo e splendente, e le allodole tornarono a
            cantare.
                   Venne una magnifica primavera, ed egli potè spiegare di nuovo le ali, ch'erano divenute più
            forti e lo reggevano ora molto meglio. Prima ch'egli stesso sapesse come, si trovò in un grande
            giardino, dove i meli erano in piena fioritura, dove i lillà spandevano un dolce odore, allungando le
            verdi rame pendule sin sopra ai ruscelli ed ai canali che lo traversavano. Che bellezza quel giardino!
            Che freschezza di primavera! E proprio dinanzi a  lui sbucarono di tra il fitto del fogliame tre
            splendidi cigni candidi, e si accostarono nuotando: con le ali leggermente arruffate, venivano
            scivolando agili e maestosi sull'acqua... L'anatrino riconobbe gli splendidi animali e fu preso da una
            strana angoscia.
                   «Voglio volare sin là, presso agli uccelli regali: mi morderanno e mi faranno morire, per
            avere osato, io così brutto, accostarmi ad essi. Meglio ucciso da loro, che perseguitato dalle anitre,
            beccato dai polli, respinto dalla ragazza della fattoria, per patire poi tutto quel che ho patito durante
            l'inverno!» — E volò sino all'acque e poi nuotò verso i candidi cigni, i quali accorsero ad ali
            spiegate. «Uccidetemi!» — disse la povera bestiola, e chinò il capo verso lo specchio dell'acqua
            aspettando la morte... Ma che cosa vide mai nell'acqua chiara? Vide sotto di sè la sua propria
            immagine; e non l'immagine d'un brutto uccello tozzo e grigiastro, orribile a vedersi; ma quella di
            un candido cigno.
                   Che importa l'esser nati nel cortile delle anitre, quando si esce da un ovo di cigno?
                   Ora sì, che si sentiva perfettamente felice, compensato di tutte le miserie e le disgrazie
            passate. Ora egli comprendeva tutta la sua felicità, e sapeva apprezzare lo splendore che si vedeva
            d'intorno. E i grandi cigni lo circondavano e lo lisciavano col becco.
                   Vennero nel giardino alcuni bambini: gettarono pane e grano nell'acqua, ed il più piccolo
            gridò: «Uno di nuovo! ce n'è uno di nuovo!» E gli altri bambini tutti contenti: «Sì, ecco che n'è
            venuto un altro!» — E batterono le manine, e si misero a ballare, e corsero a chiamare il babbo e la
            mamma; e buttavano pane e biscotti nell'acqua, e tutti dicevano: «Il nuovo è il più bello di tutti, così
            giovane, così maestoso...» — Ed i cigni più vecchi s'inchinavano dinanzi a lui.
                   Allora la timidezza lo prese: divenne tutto vergognoso, e nascose il capo sotto l'ala; provava
            un certo che... non sapeva neppur lui quel che provava. Era sin troppo beato; ma nient'affatto
            superbo, perchè il cuore buono non è mai superbo. Pensava quanto era stato perseguitato e
            schernito; ed ora sentiva dire da tutti ch'era il più bello tra quei bellissimi uccelli! I rami di lillà si
            chinavano sull'acqua verso di lui; il sole splendeva caldo e lo ristorava. Arricciò le penne, allungò
            l'esile collo e si rallegrò dal profondo del cuore: «Non avrei mai sognata una gioia simile, quand'ero
            ancora un brutto anitroccolo!»




























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